2020. I 365 giorni che hanno cambiato le nostre vite

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Di Matteo Galasso

Stiamo per lasciarci alle spalle quello che si potrebbe definire uno degli anni più difficili dell’ultimo mezzo secolo, 365 giorni che hanno cambiato sotto ogni aspetto le nostre vite e dei quali gli effetti si percepiranno ancora per i prossimi anni a venire. Una crisi economica, sociale e culturale causata dall’emergenza sanitaria che stiamo vivendo a partire da febbraio scorso.

Tutti ricorderanno quando a metà gennaio si iniziò a parlare di un nuovo coronavirus che si stava diffondendo a Wuhan, nella provincia di Hubei, una delle zone più produttive della Cina continentale, da dove arrivavano immagini della città deserta che ci sembravano surreali, ma con le quali, presto, avremmo imparato noi stessi a convivere. E mentre in Italia tutti continuavano a condurre normalmente la propria vita, non percependo la gravità di quanto stesse accadendo dall’altra parte del mondo, il virus iniziava a diffondersi su larga scala. Ma la minaccia, trattandosi di pochi casi isolati, non sembrava offensiva e ci sentivamo già sufficientemente protetti dalle misure restrittive prese nei confronti della Cina.

Tutto cambiò il 21 febbraio, quando un giovane manager di Codogno, in Provincia di Lodi, risultò positivo al virus senza aver avuto contatti con la Cina. Ed ecco che da due i casi diventavano prima 20, poi 200, poi 2000, e il virus iniziava mietere le prime vittime. Come dimenticare la riunione d’emergenza della Protezione Civile, dopo la quale il nostro Presidente del Consiglio, in pullover, parlava in diretta nazionale di una quarantena per dieci comuni del lodigiano tramite un DPCM, parola che sarebbe diventata presto comune nel linguaggio comune. Passavano i giorni, nuovi casi si diffondevano in tutto il Paese ed ecco che il 4 marzo venivano chiuse le scuole e veniva lanciato ufficialmente la DAD (didattica a distanza), con la convinzione che dopo pochi giorni si sarebbe rientrati dall’allarme come se nulla fosse stato, ma in realtà a scuola non si sarebbe più tornati se non a settembre. Il 10 marzo veniva promulgato un lockdown nazionale: gli italiani tutti in “quarantena”, i professionisti di ogni categoria in smart-working, i commercianti e gli imprenditori turistici chiusi. Il Paese, il primo dopo la Cina dove il virus si è diffuso su larga scala, si trasforma in un campo di battaglia a cielo aperto, gli ospedali sono stracolmi, i posti scarseggiano e i decessi sono più di 1000 al giorno. L’epidemia è diventata a tutti gli effetti una pandemia. Questa situazione vedrà i cittadini costretti in casa durerà per due mesi, durante i quali prima l’Europa e poi il resto del mondo raggiungeranno e supereranno per numero di contagiati il nostro Paese, ritrovandosi costretti ad adottare le medesime misure drastiche di isolamento.I casi in Italia e in Europa diminuiranno e l’emergenza risulterà contenutaperò durante l’estate, per poi aumentare in modo esponenziale in autunno, proprio per l’aver abbassato irresponsabilmente la guardia durante tre mesi, costringendoci nuovamente ad “isolarci” e a privarci di fatto della nostra libertà.

Sarebbe stato così difficile pensare che un corpo invisibile avrebbe causato ad oggi due milioni di morti e costretto i cittadini di tutto il mondo a congelare il proprio vissuto. Ora, con l’inizio del 2021 e la vaccinazione su larga scala, che non è più solo un’utopia, non possiamo ancora ritenerci liberi: il virus non è più sotto controllo e in molti Paesi i nuovi positivi sono ancora decine se non centinaia di migliaia al giorno, tenendo altissima la pressione anche sui complessi sanitari.

Possiamo ben affermare che questa pandemia abbia in un certo senso deviato la dimensione di normalità e tranquillità che il mondo almeno apparentemente viveva, trasportandolo tutti in una di crisi economica e sociale senza precedenti. Milioni di persone hanno perso il proprio lavoro, aumenta il divario tra ricchi e poveri e si sta distruggendo di fatto il ceto medio fatto da commercianti e professionisti, le due fasce più colpite dalla crisi che a differenza del virus potrebbe non lasciarci a breve. Inoltre, ci si aspetta un’enorme perdita di rilevanza internazionale per tutti i nostri luoghi della cultura e del turismo: quanto tempo dovrà passare prima che i cittadini possano tornare in sicurezza a cinema, a teatro o a visitare musei? Quando si tornerà a viaggiare e visitare altre città in sicurezza? Senza tralasciare il terribile risvolto sociale naturalmente: quanto ci vorrà prima che si possa tornare ad uscire di casa senza la mascherina e senza mantenere il distanziamento? Quando si potrà condividere nuovamente una cena con amici o colleghi oppure festeggiare un particolare evento? Ma soprattutto, quando studenti e professionisti di ogni categoria potranno tornare a svolgere le proprie attività? Questi sono solo alcuni degli aspetti “quotidiani” della nostra vita che la pandemia del 2020 ha cambiato radicalmente e che ripristineremo forse solo nei prossimi anni. C’è da dire che l’uomo sta cercando una fattiva reazione: sopraffatto da una così grave minaccia, ha saputo in qualche modo fronteggiarla, adattando tutte le proprie esigenze sociali e lavorative al contesto domestico e permettendo ai cittadini di svolgere tutte le attività più importanti da casa propria. L’emergenza ha di fatto unito il Paese, aumentando la credibilità nello Stato, facendo sentire tutti non come singoli individui, ma come parte di una comunità dove se cade qualcuno, ne risentono tutti gli effetti, e dove ognuno esercita un forte peso anche sul destino degli altri. La speranza di tutti è che uniti riusciremo a fronteggiare l’imminente crisi, così come stiamo sconfiggendo e debellando questo flagello che ha sconvolto dalle fondamenta le nostre vite.



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