E’ già quasi notte fonda e l’annuncio arriva: da domani tutte le scuole della Campania chiuderanno. Quasi un milione di cittadini, piccoli, ma cittadini, resteranno agli arresti domiciliari, o si spargeranno incontrollatamente nelle strade, o verranno affidati al primo congiunto, vicino, estraneo di buona volontà. Forse tutti fuori è un po’ troppo, e il giorno dopo, stavolta a notte fonda, contrordine per quelli che hanno da 0 a 6 anni: domattina subito di nuova scuola, anche se qualcuno la scuola non saprà più dove trovarla, perché nel frattempo imbianchini, operai, ditte di pulizia l’hanno pacificamente e laboriosamente invasa per fare altro. E’ già arrivata la prima manifestazione di protesta, il primo ricorso al Tar. Copione già scritto, film già visto. Può cominciare così questa nuova storia, una delle infinite storie della inaspettata, feroce pandemia, che ha colpito l’economia, la salute, la vita, il cuore di tutti noi. Non è il tempo delle polemiche, la campagna elettorale è finita, brutta come tutte le campagne elettorali che da un po’ di tempo si susseguono, misera, anche triste in tempi come questi, con manifesti buttati ovunque, eserciti di candidati con volti talvolta inebetiti e con l’aria di chi è finito lì per caso, senza un minimo di convinzione. Non è tempo di polemiche nell’ora oscura che incombe, occorre rispetto, fiducia, senso civico, solidarietà. Occorre la scuola! Quella istituzione più diffusa in Italia e nel mondo, più delle caserme della Benemerita, che pure coi tagli, le razionalizzazioni, i dimensionamenti riesce ad includere tutti i ragazzi, proprio tutti. La nostra è la scuola dei miracoli, pure in tempi di scarse vocazioni, di santi e beati che si fa fatica a trovare, per arricchire i calendari con figure del presente, con un papa straordinario costretto a scacciare, con grande sofferenza, mercanti dal tempio. La scuola ha il volto di bambini ordinati, che hanno seguito attentamente le indicazioni, che sono stati più scrupolosi dei loro maestri, stupiti e commossi da tanta consapevolezza. Quei bambini che hanno saputo evitare i pericolosi assembramenti, che sono stati veicoli di contaminazioni positive, che hanno saputo far capire ai loro genitori come fare, ai loro nonni che la mascherina doveva coprire pure il naso e che non serviva togliersela, perché il telefono funziona lo stesso. La scuola è il luogo dove mamme preoccupate, faticosamente o allegramente impegnate, hanno potuto serenamente sistemare figli bisognevoli non solo di merendine e televisione, ma di confronti, di rapporti, di affetti, di vita. Gli insegnanti del nostro paese hanno un passato eroico alle spalle, hanno attraversato a piedi torrenti e paludi, quando non c’erano le allerte meteo e nessuno pensava a chiudere le scuole, che in qualche caso non si potevano nemmeno chiudere, perché non avevano le porte. Scuole affollate, in luoghi dalla vita impossibile, in periferie degradate e sempre lì ad accogliere. E generosi, bravi insegnanti di oggi, commossi, preoccupati per i ragazzi che potevano di nuovo perdersi, dopo tanto impegno, tanta fatica per ricostruire un ambiente di apprendimento e che nottetempo dovevano ancora una volta reinventare la professione, pensare alla didattica a distanza, ma farlo subito, già per domani, sacrificando il sonno. E quasi nessuno ha pensato ai dirigenti scolastici, a quello che hanno fatto, a quello che stanno facendo. Fin dalle prime avvisaglie di pericolo incombente sono stati sul campo, inventandosi il tempo che non c’era, la ricerca pedagogica che qualcuno aveva frettolosamente archiviato, la necessità di ripensare una scuola che non esisteva, che nessuno aveva descritta nei sacri manuali concorsuali, nei testi unici ammuffiti. Tanti dirigenti per intere giornate, in primavera, estate e pure d’autunno, domeniche incluse (a chi dici di andare ad aprire un locale quando è festa e le urgenze incombono ?) ad organizzare il servizio, ad accogliere banchi, mascherine, persone petulanti incluse. Hanno curato il ricorso alla Didattica Digitale Integrata per consentire la frequenza a chi era costretto a rimanere a casa in quarantena. Dirigenti che si sono emozionati, hanno pianto se si chiudeva, se si apriva, se ai ragazzi si toglieva qualcosa. Chi è entrato in una scuola l’ha vista cambiata: percorsi chiari di entrata e uscita, cartellonistica dai colori accattivanti, segnaletica appropriata, distanziamento chiaramente evidenziato, banchi singoli nuovi di fabbrica, protocolli rigorosissimi per igienizzare e sanificare. E con qualche amministrazione comunale più o meno assente, pigra, con tempi da tartaruga, incapace di tenere la corsa delle gazzelle. E amministrazioni provinciali che hanno lasciato piovere sul bagnato, anche letteralmente, condannando alla solitudine assoluta scuole che meritavano di funzionare bene fin dal primo giorno. Rimandare l’apertura non è servito a niente, qualche sindaco l’ha pure rimandata ancora, ricorrendo alla solita, comoda scusa che se i problemi permangono è sempre colpa di qualche altro. I meriti no, quelli sono propri, le rare volte che ci sono. La scuola, e qui ci metto veramente tutti, collaboratori scolastici e impiegati compresi, ha saputo organizzarsi anche da sola, è stata capace come ad altre istituzioni non è successo, di far rispettare le regole, di utilizzare anche fantasiosamente tutto quel che aveva, per trovare soluzioni idonee, ragionevoli. E di riorganizzarsi diventando ambiente deputato all’innovazione didattica e digitale, senza mai rinunciare alla sua vocazione di luogo di cultura e cittadinanza, non solo di insegnamento e di apprendimento, per ricostruire la comunità, oggi più necessaria che mai in tempi di indisponibilità e di difficoltà. Chiudere, interrompere le attività didattiche può provocare una sensazione di sollievo in prima istanza, ma per proteggere la scuola non si deve svuotarla, ma responsabilizzare il mondo che è fuori e insegnare a tutti a prendere sul serio ogni regola. La scuola chiusa non é il buon esempio, si imbavaglia l’unica verità viva del nostro Paese.
di Gregorio Iannaccone
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