Poeta: “Bravi nell’emergenza. Ora è importante sanificare tutto il movimento” – IL CIRIACO

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Dalla Campania con furore. Giuseppe, per tutti Peppe, Poeta è partito anni fa da Battipaglia per affermarsi con il trascorrere del tempo quale uno dei migliori play italiani delle ultime stagioni e presenza fissa in nazionale. Dall’exploit a Teramo sotto coach Capobianco, passando per la Virtus Bologna, la Spagna fino ad arrivare al successo in Coppa Italia con Torino e all’ultima stagione a Reggio. Il tutto condito da 120 presenze in Nazionale e il costante affetto spropositato dei suoi tifosi.

Una carriera scintillante, tutt’altro che finita, e un occhio vigile sul movimento cestistico italiano. Nel nostro incontro abbiamo parlato di tutto questo, partendo dalle riforme possibili, e forse necessarie, fino ad arrivare al suo futuro.

 

Per questa estate ci si aspettano molti cambiamenti da parte della Fip e delle leghe. Tu come pensi che i campionati debbano essere strutturati e come ti schieri nella querelle tra professionismo e dilettantismo?

“L’organizzazione dei campionati è un tasto particolare per il momento storico in cui siamo. Sicuramente provare a sanificare il mondo della pallacanestro deve essere l’obiettivo principale di questa estate. Partendo da questo presupposto si dovranno poi prendere le decisioni giuste. Per quanto riguarda l’eventuale uscita dal professionismo la mia opinione è chiara: bisogna sempre provare ad alzare l’asticella, non ad abbassarla. Il professionismo è uno status ottenuto dopo tante lotte e non va perso, anche perché è una garanzia per tutti gli atleti e ci sono altre federazioni che lottano per raggiungerlo e non ci riescono. Bisogna fare un passo avanti per tutto il dilettantismo e, dopo essersi messi ad un tavolo comune con il governo e altre federazioni come quella del Rugby, trovare uno status che dia le giuste garanzie ai lavoratori dello sport che ne hanno bisogno”.

Per quanto riguarda i settori giovanili, invece, come credi si possa intervenire?

“Secondo me il settore giovanile in Italia, fino ai 18 anni funziona molto bene. Siamo molto competitivi anche per quanto riguarda le nazionali. Il lasso di tempo che va tra i 18 e i 22 anni, invece, è un tasto dolente perché in quella fase perdiamo tanti talenti e possibili prospetti. Bisogna trovare un modo per valorizzarli e formarli in quel periodo. C’è bisogno di un modo per svilupparli”.

In questo momento c’è Cremona che avanza una proposta molto affascinante, ovvero quella di diventare Club Italia. Tu che ne pensi?

“La trovo un’idea brillante perché è qualcosa di diverso. Magari si possono attirare nuovi investitori e generare un rinnovato interesse intorno ad una piazza di Provincia che ha fatto sempre bene e che rispolvera ogni anno idee diverse, che siano americani rookie o campioni affermati che tornano alla luce come nel caso di Travis Diener. Hanno energia, sono una società seria ed è giusto seguano il loro corso. Per quanto riguarda l’apporto alla Nazionale in sé, invece, credo sia un discorso a margine. Credo che la scelta sia più verso un format intrigante che valorizzi la propria piazza. Poi i due percorsi potrebbero iniziare ad andare di pari passo perché è chiaro che gli italiani più giocano, più sono protagonisti e più possibilità hanno di crescere”.

Per quanto riguarda il tuo futuro, invece, hai ancora un contratto con Reggio Emilia.

“Ho un contratto con Reggio e sono sicuro di onorarlo. Sono stato molto bene lo scorso anno, la società è molto seria. Prima della prematura chiusura della stagione avevamo iniziato a fare passi in avanti dopo l’inizio difficile. Credo anche che sia normale visto che ci trovavamo in un anno zero, con giocatori nuovi e un nuovo coach. Mancavano ancora 12 partite e stavamo trovando la chimica giusta, avremmo voluto lottare fino alla fine per i playoff ma non sapremo mai se ce l’avremmo fatta”.

Proprio a proposito dello stop, come hai vissuto questi giorni di lockdown?

“I nostri sport sono stati molto intelligenti e tempestivi nell’attuare le misure che servivano. Per quanto riguarda invece il mio lockdown, come quello di tutti, è stato caratterizzato da tante attività per le quali di solito non ho tempo. Ho provato ad allenarmi un po’ in casa per tenere tonici i muscoli e la mente, ma non si può far molto purtroppo”.

Lo sport italiano, però, non si è mosso uniformemente: se il basket ha subito deciso di sospendere, il calcio sta ancora provando a riaprire l’attività. C’è una decisione sbagliata e una esatta o il discorso è più complesso?

“Il discorso è molto semplice, perché la sostenibilità delle squadre di pallacanestro è l’opposto di quella della squadre di calcio. Per noi era giusto chiudere, per loro è giusto continuare a tentare di riaprire. Così come un presidente di A2 fa notare che far giocare a porte chiuse non è sostenibile, così per il calcio i diritti tv sarebbero una perdita troppo grande. Loro hanno una macchina importantissima che quando è ferma costa troppo. Magari non riusciranno a ricominciare perché non sarà possibile o non sarà opportuno farlo, ma p giusto il tentativo”.

Quando deciderai di smettere con la pallacanestro giocata, cosa farai? Rimarrai in questo mondo o cercherai nuove esperienze?

“Non saprei proprio dirlo, ho le idee molto confuse. Cambio spesso opinione e davvero non so che indirizzo possa prendere la mia vita dopo il basket, ma penso di avere ancora un paio di anni di margine a 34 anni. Sto comunque seguendo dei corsi sia per diventare allenatore che dirigente, ma non escludo un’esperienza da scout o addirittura di essere fuori dal mondo della pallacanestro. Spero di avere le idee più chiare quando arriverà il momento, ma per ora mi sento ancora solo un giocatore”.

 

 

 



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