Ripensare oggi le geografie dell’interno

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Non é un futuribile scenario post-pandemico a doverlo suggerire, ma una visione lungimirante che dovrebbe guidare le scelte fondamentali di un Paese che oggi purtroppo é in balia di se stesso, oltre degli eventi che lo stanno travolgendo.

Innanzitutto, oggi, non basta e non é più ragionevole pensare soltanto per linee verticali, attraverso la dicotomia Nord/Sud. E’ il momento di ricercare quell’orizzontalità, che dilara anche altre coordinate, che vorrebbe significare un orizzonte nuovo, diverso, “altro”, riscoprendo una geografia che non è soltanto dell’entroterra. Nuovi antichi riferimenti, come ad esempio va sostenendo Raffaele Nigro: Tirreno/Appennino/Adriatico, recuperando, attraverso questi termini, la centralità dell’area appenninica. Smarrita nei meandri disorientanti di una modernità che ci ha fatto arrossire di appartenere all’identitá originaria, a quella civiltà eclissatasi con il definitivo tramonto della cultura orale, e di cui soltanto negli ultimi tempi si sta riscoprendo il significato di una storia.

Prima c’è stato lo sradicamento, le emigrazioni con le sue infinite scie, poi la ricerca delle radici e dei suoi segni.
Paradigma, i disabitati luoghi interni del Mezzogiorno, di un Sud al bivio tra riscoperta dell’identitá e fuga in avanti verso una modernità oggi comunque strozzata.

Cosa ne sará di questi luoghi dimenticati dalla cartina politica, di questa Italia interna e interiore che racchiude un microcosmo di paesi smottanti dell’Appennino meridionale, e come interpretare la fuga, verso l’esterno, della “cultura dell’entroterra”.

Non si ha traccia di un progetto alternativo rispetto a quanto consegnato alla storia del presente. Non c’è stato un modello alternativo da proporre alla solitudine angosciante della metropoli, alla sua “dimensione tragica”, con la consapevolezza che ancora manca una vocazione a scoprire l’eu-topos (il luogo felice) o l’ou-topos (il luogo che non c’è).

Ri-collocare una “cultura appenninica” all’interno di un orizzonte tutto da ridisegnare nelle cartografie politiche dell’Italia e del suo Mezzogiorno, come peraltro ha suggerito l’acume intellettuale di Giandonato Giordano, ha il significato di andare oltre un meridionalismo con lo sguardo rivolto all’indietro per abbracciare, riprendendo la definizione di Cassano, la “questione dei meridiani”.

Ancora una volta ritotna prepotentemente il tema della cultura come principio del riscatto, della rinascita del Sud, come motore della storia, oggi più di ieri, con la “politica” chiusa nel vicolo cieco della propria incapacità a indicare una via d’uscita.

Invece c’é bisogno anche di una Politica che ritrovi coraggio, che sappia guardare negli occhi il Paese e declinare i verbi al futuro, coniugando il tempo più semplice e complesso in questo difficile presente.

Resta, ad ogni modo, la questione insoluta di richiamare l’urgenza di “una nuova ricognizione teorica sul Mezzogiorno, un’analisi nuova del suo lento incamminamento verso i miraggi di un benessere materiale, cui non è sempre seguita una crescita morale”.

Alla base di una riconsiderazione storica che oggi potrebbe interessare la dorsale appenninica deve allocarsi la costruttiva dialettica tra territori dialoganti, in assenza di predestinazioni egemoniche, archiviando definitivamente cosí la deprimente stagione del “centralismo metropolitano” che tanti danni sta causando, superando un’ormai inattuale contrapposizione cittá-campagna fino ad oggi risoltasi inevitabilmente sempre a vantaggio delle sature e inflazionate aree metropolitane.

In questo difficile tempo, denso di contraddizioni, di problemativitá e di criticitá, che continua a raccontare di un Paese attraversato da profonde divisioni, lacerato nel suo piú intimo e profondo tessuto connettivo tra un Nord ed un Sud che si sentono estranei l’uno all’altro, c’è bisogno di una vertigine, c’è bisogno di un Sud che ritrovi proprio dalle alture del suo Appennino un “respiro di coraggio”.

di Emilio  De Lorenzo

 


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