Sarebbe interessante sapere quali e quante manine, e soprattutto per quali recondite ragioni, abbiano contribuito a far sparire dal “decreto Ristoro” il comma che prevedeva il rinvio delle elezioni provinciali. Certo, è “parva materia” rispetto alla situazione di grave emergenza che sta vivendo il nostro paese, ma è un segnale indicativo di come la percezione della realtà da parte della politica sia lontana, quando non addirittura distorta e superficiale. Quella che sembrava una decisione di buonsenso, vista la situazione ed il numero crescente di contagi, si è trasformata, con un colpo di bacchetta magica, nell’ennesima scelta incomprensibile utile soltanto ad alimentare il sentiment negativo verso chi governa e si trova a gestire il potere. Del resto, parlando di questioni più serie, in questi mesi di decisioni incomprensibili la politica ne ha sfornate eccome, anche nell’ultimo Dpcm (oramai si dovrebbero raccogliere in un libro, anche se sono partoriti con una velocità sempre più elevata) compaiono prescrizioni abbastanza difficili da comprendere e da spiegare (coprifuoco alle 22 con il resto delle attività chiuso da un pezzo o la capienza degli autobus ridotta alla metà, quando sarebbe stato utile predisporre un piano per raddoppiare le corse), se non con la paura di assumere decisioni più drastiche (leggi lockdown generale) che l’economia pagherebbe subito e il governo alle prossime elezioni. Eppure la politica dei piccoli, ed incerti, passi non sembra quella migliore per contrastare la velocità di diffusione del virus, anche perché le norme sono spesso contraddittorie e, numeri alla mano, già inefficaci dopo pochi giorni e costringono i governi, sia quello nazionale sia quello regionale, ad inseguire il Covid piuttosto che anticiparne gli effetti. In ogni caso se non ci dovesse essere un intervento, più che auspicabile assolutamente necessario, le Province andranno al voto, per rinnovare i loro consigli, il prossimo 13 dicembre. Si voterà anche a Palazzo Caracciolo, nonostante la (giusta) contrarietà del Presidente Biancardi, in una elezione di secondo livello, ovvero la politica che vota ed elegge se stessa, figlia di una riforma, un’altra, sbagliata nell’idea generale e colpevolmente lasciata a metà nella sua attuazione. Oggi le Province hanno poche competenze pur essendo l’unico ente che collega, incidendo anche nelle decisioni, i livelli territoriali con quelli superiori nella scala istituzionale. Invece sono diventate una roba per addetti ai lavori, decisamente poco interessante per il cittadino a cui non interessa la composizione del consiglio o il nome del presidente (per la cui elezione si voterà a settembre). Una condizione di partenza decisamente difficile alla quale va aggiunta la grave emergenza sanitaria che certo condizionerà la discussione sulla formazione delle liste che andranno presentate entro tre settimane. Ci sarà, nei prossimi giorni, modo per parlare delle candidature, ma quella che dovrebbe essere la vera sfida dei consiglieri e dei presidenti, nei prossimi mesi (lotta al Covid a parte ovviamente) è avviare un confronto serio perché le Province tornino ad essere un ente di primo livello, un ente davvero utile al territorio. Una discussione che la politica dovrebbe affrontare contestualmente a quella sugli effetti prodotti sulla nostra architettura istituzionale dalla riforma del Titolo V, che oggi sembra essere la prima vera vittima del Covid-19.