Aste ok: ecco come funzionava il sistema delle società del gruppo criminale – IL CIRIACO

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Quattro milioni di euro tanto valeva il patrimonio delle società sequestrate nell’ambito dell’operazione “Aste Ok”, 59 fabbricati, 26 terreni, a cui aggiungere titoli finanziari per altri 1,5 milioni. A tanto ammonta, almeno per il momento, il business messo in piedi dal “cartello” Galdieri- Tre Tre. Un sistema di società quasi perfetto, quello creato dai fratelli Livia e Modestino Forte insieme ad Armando Aprile ed evidentemente apprezzato a tal punto dagli esponenti di spicco del Nuovo Clan Partenio tanto da volerne fare parte, in cui far circolare i proventi delle aste turbate, inficiate, pilotate. Un vero e proprio tentativo di ripulire, dunque dare parvenza di legalità all’affare delle aste, attraverso le società Rinascimento italiano srl, Arca di Noè srl, Punto Finance srl, Lara immobiliare srt, tutte sequestrate perché asservite, così scrive il Gip Finamore, “alle esigenze del sistema delle aste e dell’associazione criminale”. Società “paravento” a cui intestare i proventi degli affari conclusi, cercando di farli apparire come normali operazioni di mercato. E invece, questa la tesi degli inquirenti, di lecito non c’era proprio nulla: quei soldi erano frutto di delitti di associazione per delinquere di tipo mafioso, estorsione, riciclaggio, trasferimento fraudolento di valori. Tra le società sequestrate anche la Nuvola srl, che gestiva il ristorante pizzeria It’s Ok di Valle luogo simbolo del potere dei Tre Tre.

E per capire l’entità dell’affare basta guardare agli importi degli assegni, dei titoli di credito e della documentazione bancaria, già sequestrati ad ottobre 2019 nell’ambito dell’inchiesta madre che ha decapitato il Nuovo Clan Partenio. Cifre che vanno dai 10.000, 35mila, 50 mila, ai 100mila euro, versati da imprenditori, commercianti, proprietari di casa esecutati. Vittime spesso inconsapevoli di esserlo, che credevano di partecipare ad un’asta regolare ma invece si ritrovavano impelagate in un ingranaggio criminoso che inficiava la legalità e la correttezza della procedura esecutiva immobiliare che le riguardava. Vittime che, di fronte al pericolo di perdere la propria abitazione o un bene di grande utilità economica, si sono ritrovate in condizioni di palese grave disagio psicologico, a maggior ragione quando si sono ritrovate al cospetto di quelli che, tutti coloro che sono stati ascoltati in qualità di testimoni o di persone informate sui fatti, definiscono come “soggetti che si sapeva bene comandassero indiscriminatamente ad Avellino”.

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Quello che il gip definisce “un consesso criminoso finalizzato all’acquisizione e gestione monopolistica delle procedure di esecuzione immobiliare, pendenti segnatamente presso il tribunale di Avellino ma con mire espansionistiche anche al di fuori del territorio irpino, cercando di attingere anche il Sannio”. Ma come funzionava il sistema? Attraverso la partecipazione diretta o con l’utilizzo di teste di legno, ad un numero indeterminato di aste immobiliari espletate nel contesto di procedure esecutive incardinate presso il tribunale di Avellino, con la consequenziale acquisizione, previa aggiudicazione dei relativi immobili, allontanando con minacce e violenza tutti gli eventuali soggetti che aspiravano a partecipare alle aste a cui gli indagati erano direttamente interessati o, come spesso avveniva, dopo che il debitore esecutato previo pagamento della relativa richiesta estorsiva, per non perdere il bene era costretto a sborsare ingenti somme di denaro al fine di garantirsi che l’incanto andasse deserto. E c’era un vero e proprio “statuto”, così lo definisce il gip, della consorteria criminale costituita da un lato dai fratelli Pasquale e Nicola Galdieri e dai loro alfieri, dall’altro della “micro associazione” rappresentata dai Tre Tre, i Forte e Aprile, già operante sul mercato illecito delle aste immobiliari che veniva fagocitata dal clan che “le imprimeva la caratterizzazione tipicamente mafiosa”. Tutto però in un rapporto assolutamente paritario, di un sistema criminale consumato sulla pelle di quelli che, dagli stessi indagati, vengono definiti “poveri cristi” sulle cui spalle poter “mangiare”.

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