Quel furgone è una speranza, ma il futuro dipenderà da noi – IL CIRIACO

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Quel furgone carico delle prime dosi di vaccino che arriva scortato nello spiazzale antistante l’ingresso dell’ospedale Moscati è, senza dubbio, l’immagine più bella, o almeno quella maggiormente evocativa di speranza per il futuro, del 2020. Il fatto che per vederla abbiamo dovuto aspettare gli ultimi giorni dell’anno rende plasticamernte il senso della sofferenza inferta dai dodici mesi più brutti vissuti dall’umanità dalla fine del secondo conflitto mondiale. L’anno che sta per chiudersi è quello che ha stravolto le nostre vite, disseminato centinaia di migliaia di vittime su tutto il pianeta, modificato radicalmente le nostre abitudini abbattendosi come un tornado sull’economia globale. Quel furgone, insieme ai tanti che domenica scorsa hanno viaggiato per tutta l’Europa, è, nell’auspicio di tutti, l’immagine destinata a prendere il posto di quelle che, purtroppo, resteranno comunque scolpite nella nostra mente: il lungo corteo dei camion dell’esercito che dall’ospedale di Bergamo parte per trovare una sistemazione alle centinaia di bare o l’immegine delle sepolture di cadaveri senza nome negli Stati Uniti e in Brasile. L’immagine di quel furgone ci richiama anche alla realtà, dicendoci che nell’anno che sta per cominciare si dovrà necessariamente ripartire. Speranza, certo. Ma anche consapevolezza che si tratterà di un percorso lungo e che l’emergenza non è ancora definitivamente alle nostre spalle. Bisognerà ricostruire un sistema di relazioni e di rapporti umani che il Covid ha bloccato e rimettere in piedi un’economia devastata dal virus. E tutto questo senza dimenticare che dovremo ancora convivere con le modalità che abbiamo imparato, ahinoi, a conoscere in questi mesi oltremodo difficili: mascherine, distanziamento e igiene delle mani. Ricostruire dunque, anche qui in Irpinia. La nostra provincia, ovviamente, ha sopportato le conseguenze della pandemia come nel resto del Paese e del mondo, ma è innegabile che in questo territorio, e nel Mezzogiorno più in generale, che gli effetti negativi sono stati drammatici e rischiano di avere delle ripercussioni disastrose. La crisi ha colpito tutti senza distinzioni, ma certamente piccoli imprenditori e commercianti hanno avuto le ferite maggiori ed in qualche caso sono stati purtroppo costretti a chiudere definitivamente le loro attività. La politica dei ristori seguita dal governo ha avuto un buon impatto nella prima fase dell’emergenza ma si sta rivelando insufficiente nella seconda ondata che ha colpito anche al Sud e che, pur attesa, ha squarciato il velo dell’impreparazione governativa sia a livello nazionale sia a livello regionale. Occorre dunque un piano complessivo di ripresa e rilancio, qui come altrove ed ecco allora che si arriva diretti al Recovery Fund. Il mega piano dell’Unione Europea è la grande sfida che attende la politica a tutti i livelli nei prossimi anni. Un enorme flusso di denaro arriverà nelle casse degli stati membri, per l’Italia ci saranno 209 miliardi a disposizione da spendere in progetti, suddivisi in sei aree guida, che dovranno scandire la ripartenza e la crescita post-pandemia. E’ l’ultima grande occasione soprattutto se si tiene conto che la maggior parte di queste risorse costituisce un debito in capo alle generazioni future: sbagliare adesso avrebbe lo stesso effetto di una sentenza di condanna per il futuro. Eppure i primi segnali non inducono certo all’ottimismo. A Roma si litiga e si perde tempo, sui territori si ignora. Eppure è al Sud che queste risorse dovrebbero portare i maggiori benefici. Ma non lo faranno se mancherà un’idea guida, se non ci sarà l’autorevolezza necessaria per guidare un processo cosi complesso, se non prevarrà la consapevolezza che non si tratta di realizzare una rotonda o una strada, ma progetti destinati a mutare, in meglio si spera, la vita di questo territorio. E’ in grado questa classe dirigente di affrontare la sfida? Saremo lieti di essere smentiti, ma per ora sembra di no. Qui nemmeno si discute, per dirla con De Andrè, “le contromisure fino a quel punto si limitavano all’invettiva”, ovvero ad una generica, molto generica, dichiarazione di intenti. Vedremo cosa accadrà nelle prossime settimane, sperando che qualcosa cominci a cambiare anche in città dove attendiamo un segnale concreto da parte dell’amministrazione (le ultime sedute dell’anno sono state francamente indecenti) rispetto alle questioni annose ed irrisolte che il capoluogo si porta dietro. E alla politica più in generale questo 2021 dovrebbe portare maggior senso di responsabilità nel saper discernere le polemiche sterili e stucchevoli dal confronto anche duro sulle questioni. Ci lasciamo alle spalle un “annus horribilis”, ma quello che sta per cominciare non sarà meno difficile. Abbiamo una speranza, che è tutta in quel furgone, il resto dovremo farlo noi ed è questo che, francamente, un po’ spaventa. Buon anno e buona fortuna, ne avremo bisogno.



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