Cgil-Cisl-Uil: il prestito a Fca? Polemiche inutili, negarlo è errore ma vigilare perché resti in Italia – IL CIRIACO

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«La polemica politica non serve a nulla». Su questo sono d’accordo i tre principali sindacati della categoria metalmeccanici, ma è sui contenuti del dibattito scatenatosi a livello nazionale che la visione non è eterogenea. Argomento del contendere il prestito triennale chiesto da Fca a Banca Intesa Sanpaolo con la garanzia della Sace, la partecipata di Cassa Depositi e Prestiti, per il 25% del proprio fatturato. Tradotto, una richiesta da 6,3 miliardi in linea con quanto previsto dal Decreto Liquidità e cioè l’accesso al Fondo Garanzia per le imprese che, a causa del lungo lockdown, hanno subito perdite. Una possibilità posta ad alcune condizioni, due su tutte il rispetto dei livelli occupazionali e il blocco della distribuzione dei dividendi cosa che Fca ha però già annunciato. Tanto è bastato a scatenare la polemica politica, tra chi vorrebbe porre come condizione il rientro della sede fiscale del gruppo ex Fiat, attualmente a Londra, e di quella legale di Amsterdam, in Italia e chi invece la pensa diversamente. Un dibattito che per ora ha portato il Ministro dell’Economia Roberto Gualtieri a chiarire che «occorre rafforzare e confermare tutti gli investimenti in programma in Italia e a bloccare ogni delocalizzazione. Ha ragione chi sostiene che lo Stato debba chiedere di più».

Sullo sfondo restano i lavoratori e le preoccupazioni dei sindacati. Per Giuseppe Morsa, segretario della Fiom Cgil, «Un premio senza condizionalità non può più esserci, riteniamo che se deve essere utilizzato denaro pubblico è fondamentale inserire condizionalità precise per lo sviluppo e la ricerca sugli stabilimenti italiani. E, più in generale, anche in attesa dell’alleanza con Groupe Psa, deve esserci una governance statale all’interno di Fca, una cogestione stile tedesco. Il fatto che Fca abbia la sua sede fiscale altrove è una possibilità prevista dalla Costituzione, ma crediamo che il denaro pubblico non possa essere concesso senza vincoli» spiega il sindacalista. Per Morsa i vincoli da porre sono chiari «nessun licenziamento, ricerca e sviluppo e mantenimento dei livelli occupazionali sul territorio. Siamo di fronte ad un dibattito molto accademico: quando in passato abbiamo posto come Fiom il tema del trasferimento della sede fiscale all’estero, siamo stati additati come quelli che non comprendevano le logiche globali dell’impresa. Ora, gli stessi, si strappano le vesti senza però aver mai detto una sola parola sul tema dei diritti dei lavoratori, dello sviluppo e delle politiche industriali, non hanno mai proferito parola. E’ chiaro che maggiore coesione c’è, meglio è per i territori. Ma parlare senza andare oltre, proponendo soluzioni, è un discorso frivolo che non guarda a cosa è accaduto nel corso del tempo all’interno degli stabilimenti Fca. Ogni discorso deve tenere al centro i lavoratori ed essere finalizzato ad un discorso di rilancio dell’azienda. Ecco perchè proponiamo la presenza pubblica nella governance, come già accade in Francia per la Peugeot, o in Germania con Volkswagen. Questo ci rafforzerebbe anche quando Fca si fonderà con Psa organizzata già con la presenza statale». Polemica strumentale, quella politica, secondo Luigi Galano responsabile di Fim Cisl Irpinia-Sannio. «Mentre Fiat aveva determinati vincoli, anche morali, per mantenere in Italia la sede fiscale, Fca ha potuto eludere questa necessità avendo investito soldi propri e risorse concessegli dall’amministrazione statunitense di Obama. Non credo sia un sacrilegio tenere la sede fiscale in un altro paese europeo, a meno che non si voglia paragonare l’Inghilterra ad un paradiso fiscale cosa che non è. Fca ha richiesto un prestito con scadenza triennale, non un’erogazione a fondo perduto, e l’intervento dello Stato è previsto solo se l’azienda risulta insolvente. Ipotesi irreale perchè vorrebbe dire che Fca sia a rischio fallimento» spiega. Per Galano vanno studiati i due maxi decreti del Governo, Liquidità e Rilancio, per ritrovare le ragioni della richiesta di Fca: «per la mobilità, a parte le agevolazioni per monopattini e biciclette, non c’è nulla. Il Governo non si è assunto la responsabilità di prendersi in carico il destino di circa 300mila lavoratori dell’automotive, quello che genera il 7% del Pil. E’ normale che un’azienda, per tutelare i livelli occupazionali, debba ricorrere ad un prestito di natura privatistica. Non mi sembra nulla di sacrilego, e questo scontro tutto ideologico rischia di avere ricadute anche sui territori. Fca di Pratola Serra, che conta poco meno di 1800 lavoratori, è già in una crisi strutturale che dura da tempo, sono otto anni che fa ricorso agli ammortizzatori sociali. Questo mese nello stabilimento si lavorerà complessivamente per tre giorni: il calo di commesse è conclamato ed è evidente che se mancasse ulteriore liquidità, verrebbe meno non solo la sussistenza dei livelli occupazionali di Fca ma di tutto l’indotto. A fronte di una situazione drammatica, è encomiabile che Fca garantisca comunque la prosecuzione del piano industriale che prevede 5 miliardi di investimenti in Italia. Siamo di fronte ad uno spartiacque per la sopravvivenza di Fca in Italia. In caso di diniego, le conseguenze sarebbero catastrofiche. Citroen e Peugeot riceveranno cinque miliardi a testa dal governo francese. Visto che questo matrimonio tra i due colossi si dovrà consumare, non possiamo permetterci di arrivare all’appuntamento come una sposa senza dote». Per il segretario Uilm Gaetano Altieri «l’unico dato di fatto che non deve sfuggire è che in Italia abbiamo migliaia e migliaia di lavoratori negli stabilimenti Fiat e nell’indotto che, solo in provincia di Avellino, vede aziende come Denso fatturare il 90% solo per Fca. In un momento in cui il settore dell’automotive è in difficoltà senza precedenti, che il Governo si preoccupi, attraverso le forme ritenute utili, di dare aiuto al gruppo non è certo uno scandalo. Se aiutare un’azienda significa evitare un’emorragia di posti di lavoro, va fatto. Chiediamo al Governo di rimettere in moto tutte le politiche industriali atte a favorire chi, sul territorio, vuole continuare a fare sviluppo. Dovremmo imparare dalla Francia: le aziende che hanno presenze significative come Fiat, che certo non è l’unica, vanno sostenute a maggior ragione in momenti come questo dove la contrazione del settore è comprensibile anche per un bambino». A fronte di un presente e di un futuro immediato assolutamente incerti perchè legati all’andamento della pandemia, per Altieri «appaiono invece chiarissime le difficoltà. Con ricavi dimezzati, mancanza di liquidità, molte aziende rischiano di chiudere. Aiutare oggi Fca, significa aiutare i lavoratori. Abbandonarsi a polemiche sterili tra partiti, non serve. Ci vorrebbe maggiore coesione, concentrandosi tutti sulle difficoltà e trovare soluzioni per sostenere i lavoratori. In Irpinia tra poco finiranno le settimane di cassa integrazione, bisognerà intervenire per capire come avere altri ammortizzatori sociali in deroga per arrivare almeno fino dell’anno».



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