Ora che è volato in alto restano le sue battaglie, il suo coraggio civile, la sua determinazione nel rincorrere la ricerca della verità. Enrico è stato un giornalista dal cuore immenso. Amici da sempre, eravamo legati da un affetto e una stima profonda. Prima che il maledetto male vincesse sul suo fisico ci eravamo sentiti a proposito di una sua ennesima inchiesta sui poteri mafiosi nel Mezzogiorno. Entrambi inviati ci eravamo trovati, in particolare nel Sud, nella trincea del racconto degli uomini di malavita. Al “Domani”, testata a cui era approdato dopo una lunga militanza nei giornali di sinistra, aveva subito dato testimonianza di coraggio. Di lui, tra i tanti ricordi, oggi mi torna alla mente quell’ingenuità che traspariva in ogni suo racconto, la meraviglia di quando narrava le sue battaglie per la legalità, per la giustizia sociale. I suoi reportage, dal “caso Cirillo” al terremoto dell’80 in Irpinia, alla vicenda di Mimmo Lucano, sindaco di Riace, sono indimenticabili pagine di storia e di coraggio di un uomo dall’impegno straordinario, dalla parte degli ultimi, così come gli aveva insegnato Amato Mattia grazie al quale era salito a bordo dell’Unità di Antonio Gramsci. Era un Compagno con la C maiuscola, amante della scrittura nella quale riversava i suoi pensieri, la nobiltà del suo animo. Figlio di questa nostra martoriata terra, era nato e vissuto nel rione Ferrovia, Era qui il suo orgoglio. Oggi va ricordato come uno dei migliori figli della grande tradizione giornalistica del Paese e del Sud in particolare. Addio amico caro. Ti piango e mi stringo alla cara Rossella e a tutti gli inconsolabili familiari.
di Gianni Festa
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