In una strada centrale e molto frequentata di Berlino è comparso una settimana fa un grande cartello in cui campeggiava questa scritta: “Tschüss Mutti” accanto a un busto senza testa di una donna in un blazer verde. Evidente quanto simpatico il riferimento ad Angela Merkel, chiamata dai tedeschi affettuosamente “mammina”. In quel congedo espresso con un “ciao ciao mammina” c’era, insieme, ringraziamento e rimpianto, ma anche desiderio, espresso in modo sbarazzino, di andare oltre Angela, di dar vita a un’altra storia, rispetto a quella pur positiva e persino felice che ha visto la Cancelliera guidare la nazione tedesca per sedici anni.Dopo due mesi circa dalle elezioni politiche del 26 settembre scorso la Germania ha un nuovo governo di centrosinistra, di cui è capo il socialdemocratico Olaf Scholz, che è composto dai socialdemocratici della SPD, che hanno vinto le elezioni, dai Verdi e dai Liberali (Fdp). I tre partiti hanno siglato un contratto di coalizione che reca il titolo: “Osare per un maggiore progresso. Alleanza per la libertà, la giustizia, la sostenibilità”. Insomma, si volta pagina non solo per quel che riguarda il procedere prudente e graduale di Angela Mutti, ma anche quel che riguarda i contenuti più ambiziosi e radicali di giustizia sociale, di libertà e di difesa dell’ambiente, che il nuovo governo si propone come programma di legislatura. Mi è tornato in mente, senza sapere al momento perché, un vento gelido di un primo mattino di un aprile berlinese che sembrava quasi schiaffeggiarmi il viso per tenermi sveglio nonostante le ore piccole della notte, mentre contemplavo, incantato e quasi venerante, le statue di Marx ed Engels nel grande spazio verde di un complesso monumentale ad Alexander-Platz. Ma subito ho capito: la cancelleria, nel portare a compimento l’unificazione della Germania dopo la Caduta del Muro nel novembre 1989, faceva parte di quella storia, per darle un esito che non rinnegava, ma reinterpretava, i sogni di grandezza e di bellezza. D’altronde, nei sedici anni (2005- 2021) in cui ha ininterrottamente governato la Germania, dando vita a 4 governi, Angela Merkel (nata Angela Dorothea Kasner il 17 luglio 1954 ad Amburgo, conservò il cognome del suo primo marito Ulrich Merkel, pur divorziando da lui nel 1981) non smentì mai del tutto le sue origini. Era figlia di un pastore evangelico protestante, di idee comunisteggianti, a capo della chiesa di Perliber, nel Brandeburgo, che faceva parte della Germana comunista (la Repubblica Democratica tedesca). Angela stessa fu membro del movimento giovanile del partito comunista tedesco e fu portavoce nel 1990 dell’ultimo governo della RDT, preseduto da Lothar de Maziere. Ma a prescindere da tutto, per quanto la si voglia ridimensionare, Angela ha segnato una grande, irripetibile epoca della Germania. Ha fatto diventare il suo Paese la quarta potenza economica mondiale, ha rafforzato e tenuto insieme l’UE, si è opposta all’avventurismo reazionario di Trump, ha dato asilo e lavoro a un milione di profughi siriani, ha chiuso le centrali nucleari dopo la catastrofe di quelle giapponesi, ha accresciuto la giustizia sociale, ha svolto una decisa e forte politica per l’emancipazione delle donne tedesche. Il tutto nella tormenta di grandi crisi militari, economiche e, oggi, sanitarie. Omaggio dunque a una donna che, con intemerata moralità, si staglia come un gigante sul crinale della storia che discrimina il Novecento del nuovo Millennio.
di Luigi Anzalone