“Le letteratura è il mio nutrimento. Ero una bambina quando ho scoperto lo stupore della lettura. Oggi continuo a credere che l’arte sia una delle poche armi per contrastare una modernità accecante”. Lo sottolinea Claudia Iandolo, scrittrice e docente al liceo Virgilio alla vigilia dell’incontro inserito nella rassegna “Conversazioni in Irpinia”, in programma il 18 febbraio, alle 17, al Museo Irpino. A confrontarsi con Claudia Iandolo gli scrittori Franco Festa ed Emilia Cirllo. Un confronto che non può non partire dal rapporto con la terra irpina “E’ la mia terra, è inevitabile che entri nelle mie opere, mio malgrado. poiché è il luogo in cui sono cresciuta Penso all’ultimo mio romanzo ‘Vite in prestito’ in cui è facile riconoscere Avellino anche se non la nomino mai. Eppure di Avellino ci sono riferimenti a luoghi e atmosfere”. Un percorso, quello di Claudia, che abbraccia linguaggi differenti, da “Rossa luna di Novembre” per il teatro, alla poesia con “Aegre”, “Alia” o ancora “Sororità. Fino ai romanzi come “Il paese bianco di Isidora vecchia”, “Qualcuno Distratto”, “Vite in prestito”. “Nasco come poetessa – spiega – ma prosa e poesia sono due modalità espressive che sento ugualmente a me congeniali, tutto dipende dal momento che vivo. Mi sento spesso ripetere che anche nelle pagine dei mie romanzi conservo la mia vocazione poetica, con una prosa fortemente musicale. Quel che è certo è che la poesia non può non essere ricerca, è metalinguaggio, è sperimentazione, basta un dettaglio, un accostamento bruciante perché ci si interroghi sulla lingua, perché il lettore si chieda il perché di quella scelta, la poesia non può essere prosastica, deve essere sempre difficile per generare stupore. L’Irpinia ha prodotto negli ultimi anni delle belle penne, penso ad Armando Saveriano, autentico istrione e sperimentatore e Alfonso Nannariello, montanaro che non ha mai perso la sua purezza. A loro, scomparsi lo scorso mese, vorrei dedicare l’appuntamento di ‘Conversazioni in Irpinia’, quella che vuole essere soprattutto l’occasione per ritrovarsi, per stare insieme e conversare”.
E sul momento difficile che vive la città di Avellino “Non è solo questione di Avellino, viviamo tempi orribili, è una crisi mondiale. Penso alla fatica che si fa oggi a comunicare, a cercare il bello in un tempo di bruttezza infinita, a livello artistico mi sembra ci sia il vuoto. Paghiamo il prezzo degli anni di berlusconismo, del crollo delle ideologie. E’ difficile fare arte e poi trovare case editrici che vogliano puntare su scritture ricercate”. Eppure, spiega, “Non ci possiamo trincerare dietro il pretesto che la gente non legge e abbassare l’offerta. Anche quando lanciammo Castellarte tutti ci davano per folli e invece i fatti ci hanno dato ragione. Allo stesso modo continuo a credere che l’arte abbia il compito di lavorare sul linguaggio. Non credo che i nostri giovani non leggano, piuttosto leggono molto su Internet ma se proponiamo loro qualcosa che sia bellezza, se insegniamo che esiste altro oltre alle canzoni dei Maneskin scopriremo che sono assetati di bellezza, come tutti noi. E’ l’arte una delle forme possibili di resistenza, così come l’associazionismo e tutto ciò che ci consente di dare un senso all’esistenza”. Sottolinea, lei che non ha mai smesso di lottare per i diritti delle donne, che “anche su questo fronte mi sembra ci sia stato un arretramento, devo constatare con amarezza come le voci di donne siano ancora poco antologizzate: tutto si è fermato ma le battaglie da compiere sono ancora tante perché le conquiste vanno coltivate”. E sull’ultimo romanzo “Vite in prestito”, Saladino editore: “Tutte le nostre vite sono in prestito ma attraverso la figura di Rosa, giornalista di un quotidiano di provincia, racconto la modernità, quell’universo nel quale riponevamo tante speranze e che, invece, ci ha abbagliato e poi tradito, capace di ridurre in poltiglia e trasformare in moda anche le rivoluzioni, come ‘la corsia bianca di un ospedale’. Rosa dovrà fare i conti con una parte dell’infanzia, con ciò che è accaduto sotto il suo naso senza che se ne accorgesse”. E sulla possibilità della letteratura di incidere sul reale “Non sappiamo cosa leggeremo tra 50 anni, quel che è certo è che la buona letteratura è universale e lascia delle tracce. La prima regola è essere onesti con sé stessi”.
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