Una poesia di Monia Gaita per le ucraine e per tutte le donne

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Di Monia Gaita

Il poeta non può trascurare l’attualità. Ciò che accade nel mondo accade anche nella sua casa e nel suo cuore. Ecco perché ho scelto queste semplici parole proprio oggi, nella Giornata della Donna. Volevo senza retorica, stare vicino alle donne ucraine, a tutte le donne ucraine. Questo mio scritto è per le ucraine che conosco e che non conosco. Ma anche per tutte le donne, quelle felici, quelle realizzate, quelle infelici e incompiute di ogni parte della Terra.

 

Mi chiamo Ruslana, ho 40 anni e faccio la badante.

Sono arrivata in Germania 6 anni fa.

All’inizio non conoscevo neppure una parola di tedesco. Poi piano piano, ho imparato. Ci lavoravo fino a un mese fa, mi pagavano il giusto che per me è tanto.

In Ucraina non avevo niente. Mangiavamo solo patate, riso e pane. La cosa più brutta è che avevo dovuto lasciare i miei genitori e mia figlia, Nadiya, che ora ha 11 anni.

Nadiya è una ragazzina vispa e dolcissima.

Si preoccupava per me, e ogni volta che partivo mi abbracciava forte come se non volesse farmi andare via.

Mi ripromettevo di non piangere, ma poi piangevo sempre con un’enorme cicatrice cucita a punti doppi sopra il cuore.

Oggi sono tornata nel mio paese, ora che c’è la guerra. Non vivo più nella mia casa. Mi sento posta un’altra volta fuori dalla vita.

Che cosa chiedo? Chiedo che l’odio rotoli giù dal pendio come una palla di neve. Chiedo agli dei invisibili di non condurci nella parte peggiore della rapida. Chiedo che la speranza non si ritrovi di nuovo malata, morta e senza eredi.

Imploro una fetta di terra, una sola fetta di terra dove io e Nadiya potremo stare insieme.

 



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