Esame di maturità per l’Europa

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L’emergenza bellica al confine orientale ha colto l’Europa unita alle prese con la crisi provocata dall’epidemia scoppiata all’inizio del 2020 e non ancora domata. All’aggressione del virus l’Unione ha reagito positivamente sul piano sanitario, con una campagna vaccinale che non ha eguali negli altri continenti, e con misure economiche imponenti per le risorse impiegate ma di lenta applicazione. L’emissione di debito comune – gli eurobond – per finanziare l’acquisto dei vaccini e fronteggiare la recessione conseguente all’arresto delle attività produttive è stato lo strumento innovativo adottato in tempi celeri, superando le storiche obiezioni dei Paesi più contrari ad una politica fiscale a maglie larghe, e la sospensione del “patto di stabilità” stipulato nel 1997 per determinare i requisiti di bilancio necessari a garantire l’ingresso e la permanenza nell’Unione economica e monetaria, ha segnato un passo in avanti nell’integrazione dei ventisette Stati membri, dopo la Brexit. Ora però l’Europa unita si trova di fronte ad un tornante storico ben più impegnativo, che riguarda la politica estera, la difesa comune, l’allargamento delle frontiere, l’ingresso di nuovi soci e l’accoglienza di milioni di profughi. Aprendo giovedì il vertice di Versailles, il presidente di turno, il francese Emmanuel Macron si è detto sicuro che “L’Ue cambierà più con la guerra che con la pandemia”, e ha indicato gli obiettivi da raggiungere nei prossimi mesi: esercito europeo, riduzione della dipendenza energetica dall’estero, creazione di una base economica più solida. In Francia si vota fra un mese per le presidenziali, il che spiega l’ottimismo del titolare dell’Eliseo che punta alla rielezione con buone probabilità di successo, ma da una riunione informale come quella di Versailles non ci si potevano aspettare decisioni operative, che infatti non ci sono state; per cui al momento l’ambizioso programma macroniano sembra più un’aspirazione che un obiettivo a portata di mano. I capitoli sono numerosi, i tempi vanno ben definiti e l’urgenza è nei fatti. L’aggressione delle truppe russe, l’invasione dell’Ucraina e la minaccia alla sicurezza dell’Europa hanno provocato una reazione unanime e solidale, ma sotto la superficie permangono tra i ventisette divergenze storiche. La più vistosa riguarda proprio la politica di sicurezza: alla reiterata richiesta del presidente Zelensky di istituire un divieto internazionale di sorvolo sull’Ucraina o in alternativa di fornire al suo Paese aerei in grado di contrastare l’aviazione russa, la Polonia ha risposto dichiarando di essere pronta a cedere i propri caccia, previa triangolazione con una base americana in Germania: una fuga in avanti che ha messo in difficoltà gli Usa e l’Ue, ma che è il sintomo evidente di uno scollamento profondo. Contrasti stanno emergendo anche sul tema dell’ingresso di nuovi soci nell’Unione, Ucraina in testa. Zelensky ne ha fatto un cavallo di battaglia e tornerà a battere su questo tasto anche nel collegamento video con il Parlamento italiano che si sta organizzando per la prossima settimana. Ieri, diplomaticamente, Mario Draghi ha detto che sull’adesione di Kiev all’Ue “c’è una grande disponibilità da parte di tanti, una grande determinazione da parte di altri e una notevole cautela da parte di altri ancora”, e comunque “le regole per entrare sono molto precise e prevedono un lungo periodo di riforme strutturali”. Dunque non si va oltre una generica disponibilità, che non soddisferà le ambizioni del presidente ucraino. Poi c’è il capitolo delle risorse da destinare alla difesa, e qui già a Versailles si sono manifestate le riserve dei governi “frugali”, più che prudenti in tema di bilancio. E fin quando sulle decisioni epocali dell’Ue peserà ancora il vincolo dell’unanimità degli Stati membri, il salto di qualità, la prova di maturità cui l’Europa è chiamata, non potrà dirsi superata. Ma di questo a Versailles non si è parlato.

di Guido Bossa



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