La lezione di coerenza di Berlinguer

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La sua data di nascita è il 25 maggio del 1922, cento anni fa. A ricordare Enrico Berlinguer è stato il Presidente della Repubblica Mattarella che a Sassari, città natale del segretario comunista, ha partecipato ad una cerimonia all’Università sottolineando la tensione morale e il profondo rispetto della Costituzione di Berlinguer che è stato un protagonista della vita democratica del Paese. Berlinguer è il politico che non cambia solo il partito comunista, avvicinandolo all’Europa e rendendolo più autonomo e lontano da Mosca, ma cambia il nostro Paese e nei cosiddetti anni di piombo, avvicina le anime popolari e culturali dell’Italia evitando divisioni irrimediabili. La svolta è la sua elezione alla segreteria nel congresso del 1972 al Palalido di Milano quando raccoglie l’eredità di Luigi Longo, ma soprattutto si compie l’anno successivo dopo il colpo di Stato che porta alla morte del Presidente cileno Salvador Allende. Berlinguer coglie la portata di quello che è accaduto nel Paese sudamericano e scrive sul settimanale del partito “Rinascita” tre lunghi articoli, il 28 settembre, il 5 e il 12 ottobre del ‘73 nei quali riflette sulla situazione italiana, all’indomani di quello che è accaduto in Cile. A suo avviso c’è il costante pericolo di spaccare il paese e, come insegna il golpe di Pinochet, le forze reazionarie possono aprire, anche in Italia, la strada ad un governo autoritario. Berlinguer indica “la prospettiva politica di una collaborazione e di una intesa delle forze popolari di ispirazione comunista e socialista con le forze popolari d’ispirazione cattolica per contrastare questa deriva”. La sua convinzione è che comunisti e socialisti non possono sperare di governare il Paese neppure con il 51% dei voti, e che la DC può e deve essere persuasa a cooperare con la sinistra. Si delinea così la strategia del “compromesso storico” e Berlinguer, con questa scelta, porta il suo partito verso una strada nuova e sconosciuta. L’interlocutore individuato è Aldo Moro, l’unica figura all’interno della Democrazia Cristiana ad avere la credibilità necessaria per trattare una questione così rilevante e che può garantire l’unità del partito perché si fida di lui anche la parte più conservatrice e avversa ad un dialogo con i comunisti. Il dialogo Moro-Berlinguer si interrompe con il tragico assassinio dello statista democristiano ma restano le lungimiranti aperture del segretario comunista convinto che la “spinta propulsiva” delle esperienze politiche nate dopo la Rivoluzione d’ottobre si stava esaurendo, un’analisi che arriva molto prima del crollo del muro di Berlino. Celebre il suo discorso a Mosca, il 3 novembre del 1977, nel quale spiegava che la democrazia è il valore storicamente universale sul quale fondare una società socialista e poi l’intervista dell’anno precedente a Giampaolo Pansa sul Corriere della Sera quando spiegava di sentirsi più sicuro sotto l’ombrello della Nato piuttosto che nel Patto di Varsavia. Parole oggi di estrema attualità. Resta la domanda se il PCI poteva arrivare prima alla rottura con Mosca, interrogativo senza risposta. Resta certamente la visione politica di Berlinguer forse troppo avanzata per i suoi tempi, una strategia che mirava ad avvicinare il suo partito all’esercizio di una responsabilità di governo. Quel capire in anticipo i movimenti della società, come ha fatto lui e come ha fatto Moro, sono il sale della politica che non deve limitarsi a commentare i fatti ma deve invece individuare soluzioni. Da allora ad oggi quella lezione non è stata raccolta e questo spiega i disastri del presente. L’altra lezione è la coerenza di Berlinguer che ha sempre vissuto dentro una storia senza mai rinnegarla perché citando Mitterand “tagliare le proprie radici pensando di fiorire meglio può essere solo il gesto di un idiota”.

di Andrea Covotta



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