Divisa tra set cinematografici e gli studi romani di via Teulada, Noemi Gherrero risveglia le nostre domeniche mattina come il miglior caffè napoletano. Su Rai 3, affiancata da due linguisti, con Le parole per dirlo ci guida tra segreti e meraviglie dell’italiano, in un mix di didattica e leggerezza. Trentaquattro anni, occhi verdi fiduciosi e grinta partenopea, Noemi sta conducendo un programma amabile, esempio di tv gentile ed educativa. Pur essendo un format di approfondimento, fatto in modo garbato, vuole avvicinarsi ai gusti e ai livelli culturali di tutti.
La trasmissione è alla seconda stagione: non ci sono risse da salotto televisivo, eppure piace…
È uno di quei programmi di cui c’è bisogno, in un momento in cui predominano un’overdose di informazione e persone che alzano la voce. Ancora esiste una fetta di pubblico che vuole essere accolta da qualcosa di differente, che cerca empatia e ascolto. Non è vero quello che si dice, che sono tutti attaccati alla tv alla ricerca di intrighi, litigi e gossip.
Quanto è importante usare bene le parole?
La scelta delle parole è fondamentale per sapersi spiegare e difendere. Con un vocabolario ampio possiamo scegliere con cura quello che vogliamo dire, dando le giuste sfaccettature. Se impoveriamo il nostro linguaggio, impoveriamo anche la nostra capacità di sentire, a livello emotivo, e di conoscerci.
Quali sono le parole chiave della sua vita?
Determinazione, volontà, coraggio. E anche sfida, rischio, esplorazione. Sono parole che tornano e ritornano nella mia vita, di cui ho sempre fame.
Il cognome d’arte Gherrero risuona come “guerriero”. Cosa c’è dietro questa scelta?
Sì, è un richiamo al concetto di guerriero della luce di Paulo Coelho. Sono appassionata di psicologia. Ho scelto un cognome che mi identificasse per quello che voglio essere in questa mia missione di vita: una combattente, che crede in quello che fa e cerca sempre il confronto.
Di battaglie ne ha affrontate diverse. Prima fra tutte, l’anoressia…
La prima battaglia e per fortuna la prima sfida vinta, ma non senza cicatrici, rimaste a livello psicologico. Ne ho sofferto dai 17 ai 21 anni. Si tende a pensare che l’anoressia sia una parentesi adolescenziale, alla rincorsa dell’immagine della modella perfetta, ma è un disturbo dell’anima. Tutto parte da una grande sofferenza, dal bisogno di essere visti. Ne parlo volentieri perché servono gli esempi di chi è riuscito a farcela, viviamo anche di imitazione. All’epoca, la foto di Isabelle Caro, l’indossatrice francese anoressica della campagna di Oliviero Toscani, mi colpì tanto. Ero arrivata a pesare 38 chili, non avevo più il ciclo mestruale e mostravo i primi sintomi di denutrizione: i miei genitori mi fecero ricoverare, pur decidendo di evitare l’alimentazione forzata.
Qualcosa è scattato…
Sì, sono sempre stata una persona solare, brillante, leader a scuola. Non mi riconoscevo più, pensavo solo a diventare uno scheletro. Quando ho sentito che non mi reggevo più in piedi, che avrebbero voluto infilarmi un tubo in gola per farmi mangiare, si è smosso qualcosa che mi ha fatto riamare la vita. C’era ancora un po’ di luce dentro.
Poco dopo una nuova battaglia: la morte di suo padre.
È stato un dolore fortissimo perché è capitato in un momento delicato: mi ero appena ripresa e laureata, e pensavo di poter riabbracciare la vita con il sorriso. Sono trascorsi dieci anni e tuttora continuo a fare psicoterapia: amo molto lavorare su di me e mettermi in discussione. Tutto quello che è successo mi ha rallentato nella carriera ma mi ha anche fortificata.
È stata definita la Sharon Stone italiana. Cos’è per lei la bellezza?
Io, che in passato ho fatto di tutto per distruggermi, oggi posso dire che mi piaccio e ho uno stupendo rapporto con il mio corpo. Per me la bellezza è armonia. È riuscire a giocare con le proprie luci e ombre, come un fotografo. Si può essere belli a 1 metro e 80 come a 1 metro e 50, in tutti i contesti, quando si ha qualcosa da dire, quando si è in grado di dirlo, quando si riesce a muovere ogni aspetto di sé.
Come si mantiene in forma?
Amo lo sport e tutte le attività all’aria aperta: corsa, soprattutto, ma anche rafting, arrampicata, trekking. Se sono fuori Napoli, mi piace andare a correre in posti che non conosco. Ho iniziato anche il tiro con l’arco. Sono molto fisica, non a caso vengo dal teatro. E disciplinata: mi alleno sempre ma non a livelli estenuanti.
E a tavola?
Mangio di tutto, per fortuna non ho intolleranze: bevo il latte senza problemi e ne sono contenta perché mi piace molto. Punto su una corretta alimentazione ma, dopo il problema avuto, in modo rilassato: preferisco fare una corsa in più ma la sera concedermi un bicchiere di vino o l’aperitivo con l’amico. Bisogna stare molto attenti a non ricadere in certi circoli viziosi.
Ha una beauty routine?
No, ma adoro i massaggi: almeno una volta al mese vado alle terme e mi regalo una giornata di trattamenti.
Quale parola vorrebbe per il suo futuro?
Contaminazione. Artistica, di genere, di pensieri. Non resto mai fissa sulla mia idea, sono sempre pronta a cambiare.
La mostra fotografica che si fa corto
Energica e poliedrica, Noemi racconta cosa ha vissuto durante il lockdown nella mostra fotografica Scomposizioni e fughe dell’anima: arte pandemica, che sta girando l’Italia. E presto diventerà un cortometraggio. «Sarà la mia opera prima da regista». Al cinema è co-protagonista della commedia Vecchie canaglie di Chiara Sani. «Negli anni ho desiderato fare mille mestieri: sindaco, egittologa, inviata di guerra. Con la recitazione posso essere più cose».
Fai la tua domanda ai nostri esperti
anoressia,
linguaggio.