L’ho incontrato poche volte quando, girando per il mondo, ero inviato speciale de Il Mattino. In convegni, tavole rotonde, in occasioni tragiche come nei giorni del terremoto dell’80 in Irpinia o alle feste dell’Unità in Emilia Romagna. Eugenio Scalfari è stato un giornalista di razza, dal pensiero alto, dalla riflessione pacata e a tratti anche sferzante. Il fondatore di Repubblica ha attraversato il secolo da narratore attento dei fatti accaduti. C’è lo Scalfari del golpe Borghese quando l’Espresso era un settimanale a forma di lenzuolo. Le sue battaglie per la democrazia nel Paese con Gianpaolo Pansa sono monumenti consegnati alla storia italiana. C’è lo Scalfari editore che rompe il monopolio degli Agnelli e lancia, con un gruppo di talenti della penna, la sfida nel mondo della carta stampata. E poi lo Scalfari politico, suggeritore di formule avanzate e fustigatore della malapolitica. Recentemente Eugenio Scalfari è andato oltre se stesso, ispezionando la sua coscienza e dialogando con la fede ha cercato quel Dio con la spiritualità di un laico desideroso di conoscere l’oltre. Addio Grande Maestro di giornalismo e di umanità.
di Gianni Festa
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