Una campagna elettorale surreale | Corriere dell’Irpinia

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Lenin diceva che anche una cuoca avrebbe potuto governare lo Stato comunista, un evidente paradosso accolto però in Italia da Beppe Grillo che ha puntato sull’inesperienza dei candidati al Parlamento e non sulla conoscenza. A volte i numeri spiegano meglio delle parole gli errori commessi: dal 2018 i gruppi dei Cinque Stelle hanno perso il 54 per cento dei componenti alla Camera e il 45 per cento al Senato. In questa legislatura sono stati al governo con tre maggioranze diverse e alla fine hanno contribuito alla caduta di Draghi. Scaricare ogni responsabilità per una nuova ripartenza. La responsabilità in effetti fa paura non solo ai Cinque Stelle ma a molte forze politiche. Tra pochi giorni saranno passati 68 anni dalla morte di Alcide De Gasperi, uno dei pochi statisti italiani ed è utile ricordare un episodio significativo della sua vita politica. Dopo la fine della Seconda guerra mondiale si apre a Parigi una conferenza dei paesi vincitori. De Gasperi va a rappresentare un paese sconfitto, devastato, che ha partecipato al conflitto accanto alla Germania di Hitler e che l’aveva persa. Nonostante lui avesse combattuto Mussolini e non avesse nessuna responsabilità personale, in quel momento tocca a lui rappresentare un’Italia debole e ferita. L’inizio del discorso di De Gasperi è rimasto celebre “prendendo la parola in questo consesso mondiale sento che tutto tranne la vostra personale cortesia è contro di me. E’ soprattutto la mia qualifica di ex nemico che mi fa considerare come imputato, l’essere arrivato qui dopo che i più influenti di voi hanno già formulato le loro conclusioni. Non corro io il rischio di apparire come uno spirito angusto e perturbatore, che si fa portavoce di egoismi nazionali e di interessi unilaterali? Ho il dovere, innanzi alla coscienza del mio Paese e per difendere la vitalità del mio popolo, di parlare come italiano”. Con queste parole si assume una responsabilità che non è direttamente sua, dimostra di avere a cuore gli interessi di una nazione e non quelli della sua persona, una differenza abissale con i partiti e i leader di oggi che non intendono mai assumersi una responsabilità o condividere scelte a volte impopolari. La loro unica bussola è il sondaggio del giorno, i click sui social, l’elenco delle cose da fare, le promesse da campagna elettorale. De Gasperi in quel momento guida un governo di unità nazionale che deve traghettare il paese da un sistema monarchico- fascista ad uno democratico, repubblicano e parlamentare. Oggi questo sistema di larghe intese, pur con le dovute differenze, è andato in crisi e tra poco ci saranno nuove elezioni. Scrive giustamente un vecchio saggio come Rino Formica che “nei decenni dello svuotamento della vita democratica del paese, consideriamo le crisi che stiamo attraversando come se fossero crisi politiche e di governo. I governi nati in queste legislature nascono da maggioranze parlamentari antipolitiche, populiste in una parola. Quest’ultimo governo è nato perché si è rifiutato lo scioglimento della legislatura….il governo Draghi è stata la soluzione provvisoria per rinviare il giudizio elettorale ed è stato costituito con un terzo di tecnici, un terzo di populisti e un terzo di politici residuali tradizionalisti”. Un governo che è stato il sesto esecutivo dal 2013, sei governi in nove anni cioè una durata al massimo di 18 mesi. Un record negativo in Europa che non a caso ci chiede una maggiore stabilità ed invece noi abbiamo risposto con il massimo dell’instabilità. E’ vero anche nella Prima repubblica i governi duravano poco, c’era però un sistema dei partiti che garantiva la continuità dell’azione politica, adesso l’unica certezza è una surreale campagna elettorale sotto l’ombrellone.

di Andrea Covotta



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