Sindrome dell’intestino permeabile: cos’è e come si cura

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Gonfiore addominale, crampi, borbottii, meteorismo. E se la colpa fosse di un intestino “colabrodo”? Gli inglesi parlano di Leaky Gut Syndrome, ovvero di sindrome dell’intestino permeabile (o gocciolante), una particolare condizione che coinvolge la barriera intestinale: «Questa è formata dalle cellule che tappezzano internamente l’intestino e dallo strato di muco che le riveste, in cui sono immersi i batteri del microbiota intestinale, oltre a una certa popolazione di funghi e virus», spiega il dottor Nicola Castaldini, specialista in Medicina interna al San Pier Damiano Hospital di Faenza, Ravenna.

«A questa dogana si presentano quotidianamente viaggiatori di ogni genere: zuccheri, grassi, proteine, acqua, microrganismi. Ma non tutti hanno il biglietto valido per accedere al circolo sanguigno». Alcuni (come batteri, virus, funghi e tossine) vengono rifiutati, perché ritenuti non funzionali o addirittura pericolosi per il corpo, mentre altri (nutrienti) ottengono il via libera e riescono a penetrare nel sistema circolatorio-linfatico.

Che cos’è la sindrome dell’intestino permeabile

Il grande protagonista della barriera intestinale è l’ormai famoso microbiota, cioè l’insieme dei microrganismi presenti nell’intestino, che interagisce con le altre componenti della “dogana” per mantenere salde le giunzioni fra le cellule, dette tight junction e simili alle fughe tra le piastrelle.

«Quando i batteri intestinali ”buoni” vengono soppiantati da microbi dannosi, all’interno di un processo definito disbiosi, le giunzioni perdono la loro efficienza, si allentano e lasciano passare elementi che normalmente dovrebbero restare alla porta», descrive il dottor Castaldini. «Anche il muco si assottiglia, per cui diminuisce il suo meccanismo difensivo, riducendo ulteriormente la capacità filtrante della barriera intestinale». Come se non bastasse, alcune sostanze prodotte dai batteri “cattivi” infiammano le cellule epiteliali, le indeboliscono e rafforzano la condizione di sindrome dell’intestino permeabile, che rappresenta dunque la commistione di più meccanismi patologici.

Quali sono i sintomi

L’intestino permeabile può determinare un insieme di sintomi e segni caratteristici, che talvolta vengono erroneamente attribuiti ad altre condizioni cliniche: «Per esempio, si può avvertire un gonfiore eccessivo, ci può essere una frequente alternanza tra stipsi e diarrea, si può avere una sensazione di discomfort addominale, cioè si “sente” la propria pancia e se ne percepiscono rumori, brusii e movimenti interni», racconta l’esperto.

«Ma possono esserci anche segni come feci liquide o fenomeni di malassorbimento vitaminico e di altri nutrienti, così come possono aumentare sia gli indici di infiammazione nel sangue sia il valore della calprotectina fecale, una proteina rilasciata da un particolare tipo di leucociti, i neutrofili, che in caso di infiammazione vengono richiamati nell’intestino e producono questa sostanza». Il problema è che tutti questi segnali possono essere sfumati e spesso vengono confusi con altri disturbi gastrointestinali, per cui la diagnosi non è sempre facile né immediata.

Come avviene la diagnosi

L’unico modo per arrivare a una diagnosi certa di Leaky Gut Syndrome è analizzare il microbiota intestinale per confermare la presenza di disbiosi. Oggi, molti laboratori sono in grado di realizzare test genetici mirati, che consentono di conoscere la composizione della flora batterica sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo. «Si tratta di esami che utilizzano tecnologie di ultima generazione, ma è fondamentale rivolgersi a centri accreditati, magari chiedendo consiglio al proprio gastroenterologo di riferimento. Questo evita di sottoporsi a test privi di qualunque attendibilità scientifica», avverte l’esperto.

Come si cura la sindrome dell’intestino permeabile

La sindrome dell’intestino permeabile si tratta innanzitutto correggendo la causa che l’ha determinata, ovvero la disbiosi, che può essere dovuta a motivi diversi: eccessivo o prolungato uso di farmaci, cattive abitudini alimentari, inquinamento ambientale, cambi di stagione, malattie infettive acute, radio e chemioterapia, disfunzioni di fegato e pancreas, situazioni di stress, fumo di sigaretta, scarsa attività fisica.

«In genere, quindi, si corregge lo stile di vita nel suo complesso e talvolta si utilizzano supporti vitaminici o probiotici, che però devono sempre essere “tagliati e cuciti” sul singolo paziente. Acquistare in farmacia degli integratori qualunque non serve a nulla e talvolta può addirittura peggiorare la situazione».

In fondo, se pensiamo che il microbiota è l’elemento che differenzia di più gli esseri umani (addirittura quello di due gemelli omozigoti è diverso), diventa impossibile pensare che lo stesso prodotto o protocollo funzionino per tutti. «Da qualche anno si parla di fingerprint batterico, ossia di un’impronta personale e unica, come quella digitale, diversa da quella di chiunque altro, che influenza la fisiologia, i processi metabolici e, di conseguenza, lo stato di salute. Viene da sé che serve una correzione individuale per trovare un reale sollievo», conclude il dottor Castaldini.

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