di Laura Della Pasqua
1. La scuola ritornerà alla normalità? E che fine farà la Dad?
2. Come nascono le varianti?
3. Ci cureremo con gli antinfiammatori?
1. La scuola ritornerà alla normalità? E che fine farà la Dad?
Addio ai banchi con le rotelle e addio alla didattica a distanza. La scuola archivia la stagione del Covid e ricomincia nella normalità. Nelle disposizioni per la ripresa delle lezioni, messe nero su bianco dall’Istituto superiore di sanità, il contagio rientra tra le cause di assenza giustificata, come una semplice influenza. Se non ci sarà una recrudescenza della pandemia durante i mesi invernali che costringerebbe a rivedere le regole, tutto sarà come nel pre Covid.
Quindi addio all’obbligo delle mascherine in aula. Di quella stagione drammatica, rimane il “referente Covid” nominato dal preside che si occupa della gestione di eventuali positivi. Le restrizioni sono scadute il 31 agosto. Non ci saranno gli orari di ingresso e di uscita scaglionati, i percorsi differenziati e la ginnastica all’aperto e senza sport di contatto. Tornano i banchi doppi. Gli insegnanti e il personale non vaccinato, già tornato al lavoro da aprile ma non a contatto con gli studenti, ora avrà gli stessi compiti della pre pandemia.
I ragazzi fragili e che rischiano di contagiarsi in modo grave, si continueranno a proteggere con la mascherina Ffp2. Nessuno impedisce di usare il dispositivo di protezione in via precauzionale.
Il ricambio dell’aria con frequenza, uno dei capisaldi durante la pandemia, continua a essere raccomandato dall’Istituto superiore di sanità. Dove è possibile sono consigliate le finestre aperte. Quanto ai sistemi di filtraggio sono a discrezione della scuola, non c’è un obbligo. L’assenza è ammessa con febbre superiore a 37,5 gradi o se c’è un tampone positivo, anche fatto a casa.
Qualora ci fosse una nuova ondata pandemica, saranno riattivate le regole adottate durante l’emergenza a cominciare dall’obbligo delle mascherine e del distanziamento di un metro.
2. Come nascono le varianti?
Come mai così tante varianti nonostante i vaccini? Uno studio pubblicato su Frontiers in Virology da un gruppo di ricerca della Emory University (Usa) e dell’Università di Oxford, è arrivato alla conclusione che ogni variante si è sviluppata all’interno di individui con una infezione cronica, molto lunga, da Covid. Si tratta di malati che non riescono a eliminare il virus dal proprio organismo, poiché immunocompromessi, come quelli che assumono farmaci per malattie croniche, e possono restare infetti anche oltre 12 mesi.
Gli scienziati hanno sottolineato l’importanza di identificare queste persone, non solo per curarle, ma anche per condurre la sorveglianza genomica dei Sars-CoV-2 che trasportano. Le varianti, quindi, non scaturiscono dalla catena di trasmissione di infezioni acute da Covid che colpiscono milioni di persone, come si era creduto inizialmente, ma derivano da rari casi in cui qualcuno può avere un’infezione attiva per mesi. E quando un virus si replica, non sempre fa copie perfette. Le mutazioni danno luogo a una variante che può renderlo più trasmissibile, più difficile da rilevare e trattare o più letale.
3. Ci cureremo con gli antinfiammatori?
Dopo due anni e mezzo di pandemia la comunità scientifica concorda su un punto: a uccidere i malati è l’infiammazione non il virus. Si è visto, infatti, che la terapia a base di antinfiammatori (i Fans) avviata all’inizio dei sintomi, riduce il rischio di ospedalizzazione per Covid dell’85-90%.
L’ipotesi di intervenire precocemente per spegnere l’infiammazione è stata oggetto di diversi studi e un ampio lavoro pubblicato su Lancet infectious diseases, condotto dall’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri e dall’Asst Papa Giovanni XXIII di Bergamo.
Gli autori – Giuseppe Remuzzi, Fredy Suter, Norberto Perico e Monica Cortinovis – hanno preso in esame tutti gli studi pubblicati su riviste scientifiche, condotti tra il 2020 e il 2021 su cinquemila pazienti. Nelle forme lievi e moderate, trattate con antinfiammatori, gli accessi al pronto soccorso e le ospedalizzazioni scendono dell’80%, le sole ospedalizzazioni dell’85-90%, il tempo di risoluzione dei sintomi si accorcia dell’80% e la necessità di supplementazione di ossigeno del 100%.
Lo studio dice che se i contagi dovessero tornare a salire, è importante che la terapia precoce con antinfiammatori sia gestita dai medici di famiglia, per i possibili effetti collaterali e le interazioni con altri farmaci. Questa pratica potrebbe evitare la pressione eccessiva sugli ospedali e i costi altissimi dei trattamenti, soprattutto in terapia intensiva.