Out of the black. Fuori dal nero della tristezza infinita, quel nero che non dà sperenza. È questo il nome della campagna di sensibilizzazione contro la depressione lanciata dalla Fondazione The Bridge, con il contributo non condizionato di Angelini Pharma. Una campagna doverosa, visto che i disturbi depressivi interessano in Italia 3,5 milioni di persone.
Secondo una recente indagine Istat, solo il 50% si rivolge a medici, psicologi e psicoterapeuti e riceve, quindi, diagnosi e terapie corrette, mentre l’altra metà dei pazienti tira a campare sprofondando sempre di più in un limbo sommerso. Non si cura e si trascura, erroneamente convinta che nessuno possa darle una mano e che sia impossibile uscire dal guado. Ed è proprio questo il messaggio da lanciare: dalla depressione si può guarire, esattamente come per qualsiasi altra malattia per la quale è importante ricevere terapie adeguate, dopo aver fatto un corretto inquadramento diagnostico. Ecco alcuni spunti di riflessione per aiutare se stessi o i propri cari a dire addio alla depressione.
Come uscire dalla depressione e a chi rivolgersi
Il messaggio di speranza arriva dalla parole di Stephen Hawking, uno dei più grandi scienziati del nostro tempo, scomparso nel 2018 per atrofia muscolare progressiva. «I buchi neri non sono dei pozzi senza fondo che risucchiano tutto. Abbiamo scoperto che non sono le prigioni eterne che si riteneva un tempo. Le cose possono fuoriuscire da un buco nero, anche attraverso un altro universo. Quindi, se vi sentite in un buco nero, non arrendetevi: la via d’uscita c’è sempre».
Purtroppo però sulla depressione pesa ancora lo stigma, il timore di rivolgersi al medico di base o allo psichiatra per paura di ammettere le proprie debolezze e di essere scambiati per matti. «Il benessere psicologico deve diventare una priorità di tutti. La salute mentale non dev’essere considerata un tema di serie B rispetto ad altre patologie ma essere oggetto di iniziative importanti, anche sul territorio», dichiara Lamberto Bertolé, assessore al Welfare e Salute del Comune di Milano.
«Per questo abbiamo approvato con entusiamo l’iniziativa del Municipio 8 di Milano di aprire uno “sportello” di sostegno psicologico, con l’adozione di una nuova figura: lo psicologo di quartiere. Ovvero un esperto dei disturbi dell’umore a cui ognuno, anche minorenne, si può rivolgere per parlare apertamente del proprio disagio e per venire “preso in carico” dalle figure sanitarie presenti sul territorio. A volte può bastare una psicoterapia breve e poco impegnativa, che dura qualche settimana, per venire a capo di un mood depressivo. Altre volte è necessario chiedere l’intervento dello psichiatra o anche dell’assistente sociale per aiutare la persona depresse a (re)inserirsi nel mondo del lavoro o della scuola, e in tutto quel tessuto di rapporti sociali che è fondamentale per cementare la stima di sé».
Insomma i servizi ci sono, basta attivarli per non essere lasciati soli ad affrontare un gigante di malattia. E se non c’è lo psicologo di quartiere, ci si può rivolgere con fiducia al medico di base che ha tutti gli strumenti per dare i consigli giusti e per indirizzarti allo specialista. «La figura del medico di base è importantissima perché è il primo filtro verso un percorso terapeutico adeguato», afferma la dottoressa Daiana Taddeo, referente nazionale ricerca SIMG (Società Italiana di Medicina Generale). «Purtroppo, però, le persone non sono abituate a riferire al medico di base i propri disturbi del sonno e dell’umore. Gli parlano volentieri del mal di schiena o dei problemi di pressione alta, ma non accennano alla difficoltà a dormire, ai risvegli precoci costellati da ansie e da incubi, alla totale perdita di interesse verso quelle attività che fino a ieri erano fonte di piacere: zero voglia di fare l’amore, di andare in palestra o in piscina, di vedere un film o di uscire con gli amici. Persino zero voglia di mangiare. Eppure basterebbe poco per farsi aiutare.
Basterebbe trovare il coraggio di raccontare il pozzo nero in cui si annaspa, per ricevere subito dei consigli preziosi e, perché no, anche il farmaco di “pronto soccorso” che ti tira su. Perché ormai conosciamo la “chimica del cervello” e sappiamo che certe molecole, che non danno nè dipendenza nè assuefazione, possono alleviare le sensazioni di tristezza, angoscia, insoddisfazione, senso di vuoto e di inutilità, nonché di pessimismo estremo». Anche gli adolescenti dovrebbero rivolgersi al medico di base con fiducia. Non più bambini, non ancora adulti, molti hanno smesso di andare dal pediatra ma non si sono ancora “agganciati” al medico di famiglia. Ed è un vero peccato, perché è proprio lui il primo interlocutore a cui riferire i problemi di depressione, l’esperto formato per pianificare gli interventi necessari. Ma se si vuole bypsassare il medico di base, occorre ricordare ai nostri figli che c’è sempre lo psicologo della scuola a disposizione: ogni istituto ne prevede uno, al quale rivolgersi gratuitamente senza paura di essere giudicati dai compagni e dagli insegnanti.
Quando servono i farmaci
La depressione è una malattia multifattoriale alla quale concorrono diverse cause. Non è la conseguenza di un “brutto carattere” o di una mancanza di forza di volontà, come credono ancora in molti. È una malattia come le altre, e come le altre va affrontata, anche con il supporto di farmaci. «Quando ci troviamo di fronte a quello che viene chiamato “disturbo depressivo maggiore”, che comporta una deflessione costante del tono dell’umore e sintomi fisici quali mal di testa, insonnia, stanchezza cronica e perdita dell’appetito è importante cercare di alleviare lo stato di sofferenza con degli psicofarmaci prescritti su misura», esordisce il dottor Mario Emilio Percudani, direttore del Dipartimento di salute mentale e delle dipendenze dell’Ospedale Niguarda di Milano.
«Alla base del disturbo depressivo maggiore ci sono sicuramente anche fattori biologici, degli squilibri biochimici sui quali noi oggi possiamo e dobbiamo intervenire. Certo, contano le esperienze negative fatte durante l’infanzia, i fattori stressanti di natura psicosociale (come la perdita del lavoro) e gli eventi traumatici e luttuosi. E su quelli si lavora con la psicoterapia.ù
Ma occorre lavorare anche per rimettere in equilibrio il sistema nervoso, agire su questo binario parallelo, infondendo al paziente la fiducia nella medicina: ci sono degli antidepressivi che funzionano benissimo e hanno pochissimi o nulli effetti collaterali. E se il depresso vede il mondo attraverso delle lenti scure, gli psicofarmaci sono pronti a sollevargli le lenti dagli occhi, a fargli vedere di nuovo il sole. Non sono una cura univoca perché la depressione è, appunto, una malattia complessa e multifattoriale. Ma sono un buon punto di partenza, un buon inizio per intravvedere dal fondo del baratro la luce».
La campagna prevede iniziative sui social Facebook e Instagram e sul sito di Fondazione The Bridge. L’obiettivo è dare informazioni sulla depressione e consigli su come affrontarla, per aiutare chi ne soffre, ma anche i familiari. Per saperne di più, consulta la campagna Faceboof e Instagram “Outoftheblack” o il sito della Fondazione The Bridge.
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