La barbara uccisione del direttore dell’orchestra di Kiev conferma la complessa e drammatica situazione bellica in Ucraina. Complessa perché lo stesso contesto storico-religioso russo-ucraino non aiuta l’auspicato traguardo della pace, anzi sostiene e giustifica l’aggressione russa di un popolo sovrano. Sulla significativa materia ci viene in aiuto un recente contributo di Don Wilheim Dancă, romeno, docente di Filosofia e decano della Facoltà di teologia Romano-cattolica dell’Università di Bucarest. L’autorevole teologo, per meglio comprendere la situazione religiosa dell’area geografica in esame, racconta un aneddoto, dopo aver ricordato che la Romania è divisa della Moldavia, da nord a sud, dal fiume Prut. Gli abitanti che vivono nei villaggi «sparsi da una parte e dall’altra del Prut, in alcuni punti, possono parlarsi direttamente se alzano lo voce». Dancă ricorda, a tal proposito che, nel 1985 -quindi prima dello scioglimento dell’Unione Sovietica – un moldavo chiedeva a voce alta agli abitanti della Romania: «buona gente date anche a noi un pope (sacerdote ortodosso) e noi vi daremo in cambio dieci membri del partito». Evidentemente, si trattava del “partito unico”, il Partito comunista del regime sovietico totalitario. Perché l’autorevole filosofo riporta questa conversazione? Perché in essa ci sono alcuni tratti fondamentali del contesto sociale e religioso dell’Ex Urss e attualmente dell’Ucraina e Russia. Premesso che tra il 1917 e il 1989 nelle repubbliche sovietiche si è avuta la lotta ininterrotta per sradicare la religione dalla vita pubblica: decine di migliaia di chierici, monaci e fedeli laici sono stati perseguitati per la loro fede. Basti ricordare che nella Russia zarista c’erano 6000 chiese, mentre nel 1939 ne erano rimaste 100. Non pochi studiosi degli approfondimenti delineati ritengono che la tensione delle relazioni tra la Chiesa e lo Stato sovietico si è rilassata solo all’inizio del 1980. In realtà la politica del partito Comunista, che si identificava con la stessa politica dello stato sovietico, voleva sradicare il senso del sacro, strappando le radici cristiane delle anime delle persone per creare “l’uomo sovietico”, l’uomo senza Dio, il cosiddetto “uomo nuovo”. Con la “Perestroika” di Gorbaciov, numerose chiese furono rinnovate e migliaia di battesimi furono celebrati, centinaia di monasteri furono costruiti ex-novo, fiorirono anche pubblicazioni di opere di alcuni grandi cristiani dell’inizio del secolo XIX. La Chiesa sovietica si divise in due campi, conservatori e riformatori. Le tensioni tra i due campi si acutizzarono dopo lo scioglimento dell’Urss, quando la Chiesa russa è divenuta sempre più conservatrice. Le rappresaglie contro i sacerdoti riformatori firmarono la scomunica o la radiazione dallo stato clericale. In sintesi si può sicuramente ritenere che nella Chiesa russa non esiste il senso del dialogo o il rispetto verso il prossimo di altre confessioni o religioni. L’ortodossia dominante russa vede dappertutto pericoli che attentano l’integrità nazionale: il marxsismo è stato sostituito con l’ortodossismo. In questo contesto sono coerenti le giustificazioni metafisiche o bibliche della guerra in Ucraina contenute nei discorsi pubblici del patriarca Kirill o in quelle di Putin: sono una prova che l’ortodossismo si è trasformato in ortodossismo nazionalista, cioè la religione è decaduta in ideologia. Da questo suicidio teologico sono scaturiti i mancati riscontri all’ecumenismo per la pace di Papa Francesco da parte di Kirill. Sull’interrogativo perché la Russia ha invaso l’Ucraina, la risposta, secondo alcuni osservatori, afferisce anche alla “sindrome di Caino” che sostiene il convincimento che, oggi, sulla Terra esistono i caini di turno che odiano e, se possono, uccidono “i loro fratelli minori”. A tal proposito giova ricordare che, in Italia, nel 1997, si è girato un film – commedia “Fratelli coltelli” che riassume il rapporto drammatico tra fratelli. Attualmente la Russia e l’Ucraina sono simili a Caino e Abele. Altri studiosi ricordano la “sindrome di Stoccolma” di cui soffre il patriarca Kirill, partendo dalla osservazione concreta che nella cattedrale militare di Mosca, nel punto in cui il braccio orizzontale della croce patriarcale, si incontra con quello orizzontale, si nota la presenza di una stella rossa tipica dei tempi dell’Urss, quindi centralità evidente. Tale presenza sugella il modello sovietico delle relazioni tra Chiesa e Stato, con la subordinazione della Chiesa agli interessi dello stato. Se questo è il quadro storico-religioso russo-ucraino, è davvero quasi impossibile, auguriamoci di no, prevedere una pace giusta e duratura.
di Gerardo Salvatore
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