Perché i nostri figli hanno bisogno di ottimismo e come trasmetterlo

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Giovani sfiduciati, depotenziati, rassegnati a una vita senza prospettive. Ma la mancanza di slancio è alimentata da adulti che trasmettono ai ragazzi una visione buia del mondo. Come invertire la rotta

Scoraggiati, disillusi, impauriti. Sono i nostri figli, che negli ultimi anni sono cresciuti in un clima in cui si è parlato solo di crisi e mai di opportunità. Sono coloro che, davanti alla catastrofe ambientale sentono l’urgenza di cambiare il sistema, ma non sanno come. «Ho una paura folle del futuro, non ho una meta, la ricerca indeterminata mi terrorizza, non riesco a capire la persona che voglio essere». E ancora: «Stiamo uccidendo il mondo. L’unica vera realtà è la terra sulla quale viviamo e io voglio fare qualcosa. E voi?». Questi sono brani di due delle cento lettere scritte da adolescenti e pubblicate nel libro Quello che dovete sapere di me (Feltrinelli, 14 €), nato da un progetto dell’Agesci e della cooperativa di ricerca Codici.

«La parola più usata in queste lettere è “futuro”, e a essa si abbina più frequentemente un altro termine: “paura”», ci racconta il sociologo Stefano Laffi, coordinatore del libro. «Significa che lo spirito del tempo non spinge i nostri figli verso l’ottimismo, perché non consente una proiezione di sé in avanti». 

Le lamentele sciupano le loro potenzialità

Ma la colpa di questa sfiducia giovanile di chi è? «Ogni periodo storico ha i suoi problemi, ma oggi alle difficoltà reali si aggiunge una logica disfattista da parte degli adulti che genera pessimismo», afferma Alberto Rossetti, psicoterapeuta e autore di I giovani non sono una minaccia (Città Nuova, 15 €).

«Per esempio, prendiamo il tema del lavoro, forse quello che più si presta a essere trattato con un tono problematico-centrico. Del lavoro, ai nostri figli, diciamo che è difficile ottenerlo, assai più raro amarlo, usiamo parole come precarietà, rassegnazione, fuga di cervelli. «Il nostro modo di vedere e di raccontare loro la vita adulta sottolinea solo ciò che c’è di negativo, mette l’accento sui pericoli, crea allarmismo, punta il dito sui nemici da cui guardarsi. È un approccio che influisce in maniera determinante sul loro modo di concepire le proprie potenzialità e sulla volontà di autorealizzarsi».

Il futuro non è un problema

Come adulti, invece, dovremmo impegnarci a trasformare la nostra narrazione del domani. Proviamo allora a mettere l’accento sulle nuove professioni, quelle che non potevano neppure essere immaginate 10 anni fa, oppure sulle opportunità offerte dal mondo digitale. Proviamo a parlare con serenità di fenomeni come l’immigrazione, che generano conoscenza e nuovi amici, non solo disagi e ostilità.

Stefano Laffi, ricercatore sociale, concorda: «Se vogliamo restituire ottimismo ai nostri ragazzi, smettiamola di parlare di crisi, non è generativo, non aiuta a ragionare e a guardare avanti. Smettiamola di dire che non c’è posto per tutti perché questo non fa altro che aumentare le diseguaglianze. Smettiamola di parlare per divieti, perché uccide l’immaginazione. Sforziamoci invece di sviluppare una traiettoria positiva per riportare al centro la loro volontà. Stimoliamo ai ragazzi un ragionamento per visioni e per proiezioni che indichino la via da seguire, e non il problema davanti al quale soccombere. Facciamo loro domande potenti come “Tu che cosa vuoi?”, sosteniamoli nella ricerca del proprio percorso».

Incontro alla loro “diversità”

Il ruolo del genitore, insomma, non dovrebbe limitarsi alla critica, né indulgere nel disfattismo. I giovani di oggi, anche se sembrano provenire da universi sconosciuti, hanno bisogni molto simili a quelli delle generazioni precedenti. Lo spiega Rossetti nel suo libro: «Ci chiedono sicurezza, speranza. E gli adulti, per non lasciarli da soli davanti a problemi più grandi di loro, devono offrire incoraggiamenti e buoni esempi per dimostrare loro che nel mondo c’è spazio per loro».

A volte, poi, è proprio una questione di sguardi. «I ragazzi vedono le cose in maniera diversa», aggiunge l’esperto. «Per esempio, andare all’estero per lavorare per loro non è un’ipotesi negativa, ma una possibilità», spiega lo psicoterapeuta. «Ma i genitori trasmettono l’idea che sia una iattura, soffocando ogni possibile spinta a guardare in prospettiva la vita».

L’ottimismo, motore della crescita, si coltiva attraverso la fiducia. «Non tutto quello che stiamo vivendo ora è una minaccia e una sconfitta», conclude Rossetti. «Se ci mettessimo in ascolto, capiremmo dai nostri figli che esistono possibilità inedite per essere felici e mettere in moto le proprie risorse».







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