Emiliano Toso e la Translational Music, la musica che toglie il dolore

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Ho incontrato Emiliano Toso in un bosco, quello del Gorgomoro, che fa da cornice al torrente Oropa, a Biella, la sua città. Passeggiando un’amica lo riconosce e lo ferma. Da persona affabile qual è, un saluto si trasforma subito in quattro chiacchiere, e poi, quando scopro davvero chi è, in questa intervista. Mai incontro, come circostanza e ambiente, fu più particolare e consono a questa nuova conoscenza per Starbene, e lo capirete dalle sue parole. Di ricercatore ma anche di musicista e sognatore amante della Natura, di esperto del DNA e della tastiera del pianoforte. Passione che, a 40 anni, nel corso di una brillante carriera nel Big Pharma come direttore delle ricerche, gli ha fatto mollare tutto per suonare in mezzo alla gente e per la gente. Perché? Perché i suoni della sua Translational Music si sono dimostrati benefici, persino antidolorifici e anestetizzanti, a volte addirittura curativi. In sala operatoria come in un anfiteatro romano a cielo aperto.

Emiliano, lei era uno scienziato, non un musicista…

Fino a 8 anni fa il mio lavoro era fare il direttore di un reparto dell’Istituto di ricerca Merck Serono a Ivrea. Sono arrivato nel ’99 portando lì la biologia molecolare e le tecnologie per applicarla sulle cellule e i virus. Che allora non c’erano. Ho presentato i miei metodi di studio in giro per il mondo, alla Food and Drug Administration (FDA), all’European Medicines Agency (EMA)…

Era sulla cresta dell’onda della carriera scientifica: cosa è successo?

Ho compiuto quarant’anni, ma all’alba di una promozione importante, che doveva coronare il lavoro di anni… è scoppiata la bomba, o meglio il risultato di tutto il mio amore per la musica. In realtà è un amore che arrivava da lontano, perché sono sempre stato un appassionato: da piccolo suonavo la tromba in una banda. Quello per il pianoforte però era rimasto un amore segreto, che coltivavo alla sera. Mia madre è pittrice, e per questo forse vedevo e vedo la melodia che creo come un grande foglio bianco dove posso esprimermi con tutti i colori possibili, a volte “disegnare” dei puntini, a volte persino bucarlo. Ho sempre suonato per me stesso e da autodidatta: la tromba mi aveva stufato (anche se mi ha insegnato a leggere la musica) e quindi mio padre mi regalò la prima “pianola”. A 19 anni ho composto una cosa mia: Portrait.

Torniamo al suo colpo di fulmine: cosa è successo al quarantesimo compleanno?

Mi sono fatto il regalo più bello della mia vita. Una sera, sotto la doccia, ho avuto questa folle idea di fare un CD con le mie composizioni preferite, per poi poterle regalare ai miei amici. Non avrei mai pensato che la mia musica potesse avere degli effetti terapeutici, però gli amici hanno fatto provare il CD a maestri di yoga, a medici nei loro ambulatori, ad altri operatori olistici e sanitari. Sono iniziati ad arrivare i primi riscontri: le testimonianze parlavano di effetti di rilassamento, concentrazione, centratura, pace, armonia, ma anche di diminuzione del dolore, dello stress, persino dell’ansia pre-operatoria. Quindi, oltre a fare bene a me quando la suonavo, aveva effetti anche su altre persone. Ho lasciato il mio lavoro e mi sono concentrato sulla “nuova” passione.

Così ha cominciato a sviluppare quella che lei chiama Translational Music: cosa vuol dire?

È un mare di cellule sotto un cielo di musica. Esiste una medicina traslazionale, che ha lo scopo di trasformare le scoperte scientifiche in nuovi strumenti clinici per migliorare la salute delle persone. Combina quindi discipline diverse, ed è insegnata in vari Master universitari (ha al suo attivo alcune organizzazioni internazionali, come la Società Europea per la Medicina Traslazionale e l’Accademia dei Professionisti della Medicina Traslazionale – ndr). Per quanto riguarda Translational Music, immagino che le vibrazioni musicali nascano dalle emozioni che viviamo a livello cellulare, vadano su un piano più leggero (quello della musica) per diffondersi in tutto il mondo cadendo nuovamente sulle cellule dell’umanità. I miei brani sono eseguiti con strumenti acustici accordati con il Biological Tuning (o diapason scientifico) a 432Hz. La musica, in questa frequenza, produce armoniche che risuonano in modo più efficace con la natura e le nostre cellule.

Ma da scienziato come spiega l’interazione dei suoi suoni con l’organismo umano?

La musica produce vibrazioni che favoriscono l’omeostasi cellulare, cioè la capacità di mantenere in equilibrio le funzioni e i parametri vitali delle cellule che garantiscono il buon funzionamento dell’organismo nel suo insieme. Ottengo questo risultato accordando il mio pianoforte in modo che entri in risonanza con esse. Non si sa ancora se gli effetti della Translational Music siano intrinseci al tipo di melodie, o legati al ritmo e alla sequenza delle note, o all’accordatura del pianoforte, che è diversa da quella tradizionale (440Hz): lo stanno studiando ancora. Io credo che l’effetto sia complessivo, dato proprio da un’espressione musicale creata in questo modo (struttura, accordatura e intenzione).

In che campi ha effetti?

Molto diversi, utilizzata da sola o come integrazione con altre tecniche. È un antistress e un metodo di rilassamento. Ha effetti positivi sulla gravidanza e in sala parto. I medici che la usano nei reparti e nelle sale d’attesa dei più importanti ospedali d’Italia (Ospedale San Raffaele a Milano, il Salesi di Ancona, Policlinico Gemelli a Roma, il Mauriziano a Torino, il Bambin Gesù a Roma) per preparare al meglio i pazienti alla visita o all’intervento, mentre alcuni fisioterapisti la utilizzano durante la fase del massaggio. Si ascolta in diverse sale operatorie. Nello yoga, durante l’esecuzione di particolari posizioni e respirazioni. Non essendoci un protocollo preciso, chi adopera la mia musica l’adatta ai suoi bisogni: nel campo del coaching e della psicoterapia, per esempio, viene fatta ascoltare all’inizio della seduta. Certi medici la fanno sentire nella fase della diagnosi, perché hanno visto che il paziente si “apre” più velocemente e ciò aiuta l’aderenza alla terapia. È una musica che “unisce”, aumenta l’empatia.

E sul dolore?

In anestesiologia viene fatta ascoltare prima e durante l’intervento per migliorare lo stato di benessere del paziente e del team operatorio. Anche in oncologia, come integrazione alle cure tradizionali per lavorare sulle emozioni.

Funziona in altri ambiti?

Serve per concentrarsi meglio e mantenere alta l’attenzione. Spesso mi chiamano nei convegni per suonare prima dei lavori, in modo da predisporre l’audience a seguirli al meglio. Ma viene utilizzata anche negli asili e nelle scuole, per aiutare nello studio. E poi sulle donne guarite dopo un tumore, per combattere la paura, i traumi rimasti.

Chi studia la sua musica?

John Stuart Reid, fisico inglese che studia la cimatica (Cymascope.com), cioè l’insieme di teorie che attribuiscono alle onde sonore un effetto morfogenetico, quindi la capacità di sviluppare una forma, ha fatto un esperimento con la Translational Music sulle cellule del sangue. Lo scienziato ha visto come con la mia musica queste cellule si replichino in modo diverso alla presenza del suono, rispetto al silenzio o ad altri tipi di melodie. L’Università di Padova sta facendo uno studio sulle piante e sulla loro crescita: grazie al suono giusto crescerebbero con una velocità quasi doppia, radici comprese.

L’esperienza più particolare?

Nel 2020 il professor Roberto Trignani, neurochirurgo, venne da me alla fine di un concerto, mi raccontò che utilizzava la mia musica durante le operazioni per concentrarsi, aggiungendo: “Vorrei portare il suo pianoforte da 400 kg in sala operatoria e farla suonare”. È successo all’Ospedale Salesi di Ancona durante un intervento di 5 ore su un bambino di 10 anni (duplice asportazione di tumore al midollo spinale) e la notizia ha fatto il giro del mondo. Gli strumenti di monitoraggio hanno dimostrato che il cervello del piccolo, seppur anestetizzato, percepiva ogni partenza e arresto della melodia. Nella fase post-operatoria, dal punto di vista biochimico sono stati valutati i parametri di guarigione dei tessuti e i livelli di infiammazione, confermandone un miglioramento e una accelerazione.

Sonocitologia, la musica delle cellule

Diversi scienziati stanno studiando come le cellule siano strumenti musicali. Oltre agli effetti sul corpo e sul cervello della musica si stanno analizzando anche quelli biofisici, cioè di come la cellula vibri con le sue corde (il citoscheletro) con determinate frequenze, creando una firma vibrazionale.

«Oggi si può mettere un microfonino dentro una cellula e lei “ti sa dire” se sta bene o se sta male, cosa sta diventando, se si sta trasformando in grasso o in un tumore», spiega Toso. «Attraverso la musica, riarmonizzando certe firme vibrazionali, possiamo cambiare la traiettoria evolutiva delle cellule. Carlo Ventura, dell’Università di Bologna, cardiologo e docente di biologia molecolare, sta studiando la sonocitologia, la musica delle cellule, cioè come si esprimono attraverso i suoni e si comportano ascoltandoli».

«La mia ispirazione nasce dalla Natura, arriva dal cielo come un raggio di sole», racconta Emiliano Toso. Nonostante il suo successo (i concerti vanno sempre sold out) non ha agenti, social manager o simili: vive solo del passaparola dei fan. «È una cosa che mi commuove, mi fa pensare a una forza più grande di me che spinge la mia musica e la diffonde. Per questo non voglio separazione fisica fra me e il pubblico, dove uno suona e l’altro giudica. Voglio condivisione, che la gente tocchi lo strumento, vi si sdrai sotto: così ci nutriamo a vicenda». In arrivo anche il libro con la sua storia, per Mondadori.

(Foto Loredana Berteina)

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