Il recente ostruzionismo alla Camera sul decreto Scuola, le manifestazioni di piazza senza alcun rispetto per le norme sul distanziamento sociale e l’obbligo della mascherina, organizzate dal due Salvini/Meloni e quella, più violenta e settaria, dell’ex generale Pappalardo a Milano, che invitava a buttare le mascherine al motto che il virus non esiste, sono l’esempio più clamoroso dell’irresponsabilità delle opposizioni, perché guidate da politici che si dicono delle Istituzioni e che vorrebbero apprestarsi a governare il Paese, pur non dimostrando alcun senso dello Stato né del bene comune, ma cavalcando la rabbia sociale. E’ un sintomo fin troppo evidente, del malessere del Paese e del un clima di odio e di profonda frattura sociale sconsideratamente perseguita dalle opposizioni che vorrebbero buttar giù il Governo in carica senza alcuna seria di possibilità di ricambio democratico ed in una fase di grande difficoltà per la più grave, sanitaria, economica e morale, che sta attraversando Il Paese dal dopoguerra.
Vani i moniti del Capo dello Stato e le aperture del Premier per un tavolo di dialogo con tutte le forze politiche, opposizioni comprese, e quelle sindacali e sociali. Sono parole al vento che trovano nella contrapposizione ideologica e nel tentativo di mettere le mani sui cospicui fondi che L’Europa, finalmente con una strategia mutata, sta per riversare sull’Italia.
Ci sarebbe bisogno di un nuovo patto sociale sulla falsariga –tanto per intenderci- di quello teorizzato da Locke, di unione e non di sottomissione alla Hobbes. Invece sembra essere ritornati all’ ”Homo homini lupus”. Per salvare il Paese, il patto sociale dovrebbe essere teso alla redazione di un piano di utilizzazione dei molti miliardi, messi a disposizione dall’Europa parte a tasso zero e parte a fondo perduto, da utilizzare con l’obbiettivo dell’interesse generale e di favorire e porre mano allo sviluppo. Sono soldi che non possiamo sprecare o utilizzare per abbassare le tasse ai più ticchi e a quelli che, in tutti questi anni, hanno lucrato sulla crisi economica ricavandone enormi rendite.
Riscoprendo Keynes bisognerebbe aumentare la spesa interna, incentivando la domanda col migliorare le retribuzioni dei lavoratori e- se proprio si vogliono abbassare le tasse, diminuendo quelle sul lavoro. Sarebbe necessario un grande piano di investimenti pubblici e privati, finanziando le opere pubbliche con la sistemazione degli acquedotti – che perdono la metà dell’acqua che trasportano-; mettendo in sicurezza le Scuole ed aumentando gli stipendi –secondo il merito- al personale docente; dando più fondi ai Comuni per le ordinarie manutenzioni e le spese sociali; intervenendo nella Sanità pubblica anche rivedendo e rimodulando i rapporti con le Regioni e l’entità dei finanziamenti, assumendo medici ed infermieri e potenziando gli ospedali territoriali; intervenendo sull’agricoltura biologica e potenziando, anche legislativamente, il Made in Italy; potenziando la ricerca e pagando meglio i ricercatori che continuano a de andare all’estero, infine potenziando i beni culturali, il turismo e le attività connesse; portando a soluzione, una volta per tutte, il problema dei rifiuti urbani ed il loro riciclo e risolvendo, una volta per tutte, il problema dell’Ilva di Taranto.
Come si vede c’è possibilità di trovare un’intesa solo se si cominceranno a mettere sul tappeto i problemi. Il Governo dovrebbe prima raggiungere un accordo fra le sue varie componenti, spingendo alla ragione il M5S e Italia Viva, e poi presentare alle altre forze politiche e sociali un protocollo d’intesa e instaurando una nuova forma di dialogo. Se questo comportamento si dovesse dimostrare sterile, perché le opposizioni (con la sola eccezione di Berlusconi) vogliono buttar giù tutto al grido di “Muoia Sansone con tutti i filistei!) allora il Governo vada avanti per la sua strada, anche forzando la mano, nella considerazione che sia i Cinque stelle che Italia Viva non vogliono andare alle urne e che per il M5S si presenta l’ultima occasione per una scelta di campo, con la sinistra o la destra, scendo dagli equivoci costitutivi.
di Nino Lanzetta
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