“L’Irpinia è una terra piena di storia e di storie. Ringrazio il cielo di non averla lasciata. Stavo per partire per gli Usa dopo l’Accademia, poi un incontro magico e ho scelto di restare”. E’ il senso dell’appartenenza a caratterizzare il percorso di Giovanni Spiniello, come una radice che resta salda al suolo. L’artista si racconta nel primo appuntamento di Conversazioni in Irpinia alla Biblioteca Provinciale, dialogando con gli scrittori Emilia Cirillo e Franco Festa, promotori della rassegna e con il pubblico.
“Ho cominciato seminando colori sulla tela come fa il vento – racconta Giovanni – Fino alla scoperta dei fossili sui monti Picentini. E’ straordinario come la natura stessa, con le sue forze sotterranee, si trasformi in un museo. Fossili che sono entrati come reminiscenze anche nelle mie opere con quelle che sono state definite cartoggettografie. Risale agli anni ’70 la prima mostra sulla fossilizzazione nella galleria ‘Arte 33′ di Marcello Serio “. Confessa di essersi sentito lui stesso albero, “Ne sentivo la sua voce, l’abbraccio, la stanchezza. Ecco perchè il rispetto della terra è sempre centrale nelle mie opere, ne è un esempio l’albero vagabondo che si fa denuncia dei danni causati dall’accumulo di rifiuti, così come la celebrazione della diversità che spezza la monocultura ed è salvifica. Il segno diventa strumento per costruire un mondo uguale per tutti”. Ricorda come “l’amicizia ha sempre avuto un ruolo centrale nella mia vita e nella mia arte. I miei amici mi hanno condotto lungo strade preziose. Le porte del mio laboratorio in piazza Duomo erano aperte a tutti, ciascuno era libero di entrare anche solo per trovare conforto, magari perchè quella sera era stato lasciato dalla fidanzata”.
E’ Emilia Cirillo a ricordare come “La pittura diventi per lui necessità impellente, come quel carboncino con cui ha cominciato a dipingere. Una pittura che trae forza dalle storie che ascoltava da bambino, storie di boschi, re e regine. La sua capacità è sempre stata quella di rivolgere al mondo il suo sguardo fantastico senza perdere consapevolezza del luogo a cui si appartiene”. E ricorda il libro “Il pane e l’argilla” scritto con Giovanni “Gli leggevo i racconti dedicati ai paesi e nascevano le sue immagini. Giovanni è stato sempre un poeta oltre che un pittore. A lui ho voluto dedicare un racconto ambientato a Cairano, paese da lui amatissimo ‘Il sogno di Giovanni’ “.
Franco Festa sottolinea come la pittura di Spiniello sia stata non solo spazio della favola ma anche strumento di rottura, di sovversione delle regole. E’ l’ex sindaco di Grottolella Antonio Tropeano a ricordare che Giovanni sia dovunque c’è un uomo che prova emozione di fronte a un’opera d’arte “Non si è mai mosso dalla sua casa, come un albero che sa dove nasce e dove morirà ma appartiene all’Irpinia tutto. E’ come un buon seminatore che sa che i suoi semi genereranno frutti. C’è un forte pensiero dietro la sua ricerca”
Una rassegna, quella di quest’anno, che sceglie, come spiega Cirillo, di raccontare “Quel che resta della permanenza”, con un chiaro riferimento a Moni Ovadia, di dare voce a chi ha scelto di restare e come questa scelta abbia influito sulle relazioni e sul tessuto sociale. Di qui la volontà di coinvolgere critici, scrittori, artisti che hanno scelto di ricominciare in Irpinia
Un incontro che diventa anche l’occasione per ricordare Armando Montefusco “Sia Giovanni che Armando non si sono mai chiusi in sè stessi e questa è stata la loro forza. Armando ci lascia in eredità un patrimonio straordinario e una lezione di garbo e gentilezza che non può essere dimenticata”
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