La parola “rumore” evoca nella nostra mente una sensazione sgradevole. Il frastuono di una sirena, lo sconquasso di un martello pneumatico, il rimbombo di un tuono, lo sferragliare di un treno. Ma anche il rintocco di una campana, il tintinnio di un bicchiere di cristallo, il fruscio di un vestito sulla pelle sono rumori. Siamo tutti immersi in un panorama sonoro di cui spesso siamo inconsapevoli ma che fa da sottofondo alla nostra vita, incide sul nostro comportamento, influenza le nostre emozioni e condiziona le nostre scelte.
Chiara Luzzana, sound designer e compositrice, autrice del libro Tutto è suono (Roi edizioni, 21 €), ci spiega perché dietro ogni suono, compreso quello che produciamo noi stessi, con il nostro movimento, il nostro respiro, perfino attraverso i nostri organi interni, si nasconde un universo ricco di sorprese. E allora affidiamoci a questa cacciatrice di suoni per imparare ad ascoltare la nostra musica interiore.
Il suono può raccontare chi siamo?
Certamente. Siamo strumenti musicali ambulanti in un mondo che risuona incessantemente. E noi stessi facciamo da cassa di risonanza del rumore che circola intorno a noi, evitandolo o accogliendolo. Solo che non ce ne rendiamo conto. Facciamo un esempio semplice: possiamo non ricordare ciò che abbiamo mangiato ieri sera, ma è impossibile scordare una canzone legata a un ricordo importante. La melodia rende le parole più facilmente memorizzabili. E non è un caso che nell’antichità la musica avesse un ruolo centrale nell’aiutarci a memorizzare i testi: preghiere, liturgie, incantesimi e poemi interi sono stati tramandati più facilmente grazie alla loro colonna sonora, così come si usano ancora le cantilene per insegnare l’alfabeto ai bambini.
Come si scopre il nostro suono autentico?
Imparando ad ascoltarci. Ognuno di noi vibra in modo diverso in base al proprio respiro, al battito del cuore, al lavorio degli organi interni, a come si muove nel mondo e a come accoglie o rifiuta il rumore. Ciascuno ha un timbro e un ritmo che scandisce la propria personalità nel mondo. A sei anni stavo molto tempo a casa da sola. Percepivo intorno a me tanto silenzio. Per scacciarlo, iniziai a ricavare rumore da qualunque cosa: cucchiai, tavolini, pentole. Ogni oggetto aveva una voce. Erano la mia orchestra e io cercavo di capire cosa volevano dirmi.
Quando mi stancavo mi mettevo in ascolto del silenzio, ma capii ben presto che l’assenza di rumore non esiste. La frequenza di 50 Hz è il suono che produce il nostro frigorifero, la Tv connessa alla presa elettrica, il caricatore del cellulare. È un suono di sottofondo talmente pervasivo che il nostro cervello non lo distingue più. E lì è scattata una molla. In un’epoca di sovraccarico visivo e di supremazia dell’immagine, volevo ridare al suono il suo ruolo predominante e trasformarlo in musica.
I suoni quindi sono in grado di influire sui nostri stati d’animo?
Proprio così. Alcuni studiosi hanno mappato la correlazione tra caratteristiche musicali ed emozioni. Per esempio alla felicità corrisponde un tempo veloce, scale maggiori, un timbro brillante e tonalità crescenti. Alla tristezza invece si adattano tempi lenti, scale minori, timbri opachi, tonalità basse e decrescenti. Il suono nutre le nostre emozioni e inizia a farlo quando siamo ancora nella pancia della mamma. Sviluppiamo il timpano e l’orecchio interno verso la quinta settimana di gestazione. Molto prima di vedere la luce, siamo immersi nell’ambiente sonoro del liquido amniotico e reagiamo ai rumori esterni, a una musica dolce o a un suono improvviso.
Per questo per me comunicare attraverso il suono significa entrare in contatto con i nostri ricordi primordiali, con quella memoria indelebile legata ai primi attimi della nostra esistenza. Le emozioni indotte dai suoni sono neurochimicamente uguali a quelle provocate dagli stimoli visivi. I video ASMR (Autonomous Sensory Response) che si trovano su YouTube e sono ormai un fenomeno di massa, ne sono un esempio. Provocano sensazioni piacevoli e rilassanti, una sorta di orgasmo cerebrale, attraverso rumori particolari, come una mano che picchietta una superficie, il sussurro di parole delicate e via dicendo. Non a caso vengono utilizzati anche contro l’insonnia.
Questa consapevolezza ci serve a sviluppare una coscienza musicale?
Eccome. Nelle mie masterclass promuovo un’educazione civica del rumore dove ognuno diventa consapevole della propria impronta sonora e partecipa in modo attivo alla “sonata collettiva” del mondo. Esistono rumori “buoni” e “rumori” inquinanti. Sogno una società dove le suonerie dei cellulari sono sempre in modalità vibrazione, le auto sono silenziose e i ristoranti utilizzano tavoli fonoassorbenti e stoviglie anti-rumore…
La nostra impronta sonora è in grado di influenzare la relazione con gli altri?
Assolutamente. Dobbiamo integrare e accordare il nostro rumore con quello del prossimo. Non esiste comunicazione senza ascolto di chi ci circonda. E l’educazione sonora è contagiosa. Modulando per esempio la nostra voce, possiamo modificare quella degli altri. Se parliamo piano, anche il nostro interlocutore si adeguerà. Se alziamo i toni, chi è di fronte a noi farà altrettanto. In questo senso il suono è un elemento narrativo essenziale, in grado a volte di cambiare il contenuto di un discorso semplicemente accordando il timbro e l’intonazione in modo corretto.
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