Dallo sguardo fotografico a quello cinematografico, attraverso il filo conduttore dell’autobiografia. Sono le tre anime che attraversano “Il riscatto dello sguardo. Il sentimento della crisi, l’Atene di oggi” di Antonella Mancusi, presentato questo pomeriggio al Circolo della stampa. A confrontarsi con l’autrice Alfonso Amendola e Marco Pistoia, docenti dell’Università di Salerno, lo storico e critico cinematografico Paolo Speranza, Michela Mancusi, presidente dello Zia Lidia. E’ Amendola a sottolineare come il racconto della città di Atene, fotografata in una stagione cruciale come quella della crisi pre pandemica, si intrecci con quello emozionale e personale “Antonella sceglie la dimensione immersiva, sulle tracce di Mac Luhan, proponendo una riflessione sull’uomo a partire dalle idee di pensatori come Marc Augè o Ernesto De Martino. Al tempo stesso ‘Il riscatto dello sguardo’ è anche un libro di viaggi, frutto di un girovagare emozionale, in cui si intrecciano drammi individuali come quelli degli homeless di Atene e quelli collettivi”.
Mentre Michela Mancusi ci ricorda come il viaggio alla ricerca di sè e il processo di ricostruzione nasca sempre da una crisi. E’ la lettura dei brani, affidata ad Alessandra Mariani, ad accompagnarci lungo l’itinerario seguito da Antonella nella sua scrittura, a partire dall’interrogarsi sui luoghi in decadenza, sempre sul punto di morire per poi trasformarsi. Luoghi che sembrano esercitare su di lei un forte fascino, in un paese che continua ad avere paura di non essere all’altezza delle proprie potenzialità
Speranza si sofferma sul valore di un libro che è innanzitutto una testimonianza di uno dei periodi più difficili della storia greca, una crisi a cui si contrappone la rinascita della cinematografica grazie a registi come Yorgos Lanthimos, autore di pellicole come “The lobster” e “Il sacrificio del cervo sacro” “Una delle difficoltà per la Grecia è sempre stata quella di confrontarsi col mondo ed è proprio questa l’opportunità che il cinema ha offerto alla cultura greca. Lanthimos ci propone un linguaggio articolato e provocatorio, volutamente disturbante, così da richiamare l’attenzione sulla realtà del proprio paese e aiutare i cittadaini a comprenderla meglio”.
A soffermarsi sulla lezione di Lanthimos è anche Marco Pistoia che ribadisce come il suo cinema si presti ad una lettura in chiave antropologica “Lanthimos sceglie di ripartire dalla tragedia classica, ritorna sui passi del mito, con un forte uso dell’elemento dispotico e dell’universo concentrazionario, in cui riemerge più volte lo spettro di perdere la propria individualità ed essere trasformati in altro da sè. Il cinema, che sembra abbracciare i diversi linguaggi artistici, diventa dunque strumento per ricercare armonia attraverso gli ossimori”
E’ infine l’autrice a tracciare le conclusioni spiegando come il volume sia il frutto di un’esperienza di studio di 6 mesi in Grecia “Un saggio di antropologia filosofica che esplora la dimensione della crisi, che è sempre opportunità di rideterminarsi. Centrale è la dimensione intima, in cui la crisi individuale abbraccia i processi sociali che fagocitano uomini e donne. E’ certamente il racconto di un viaggio interiore, che mi ha permesso di toccare con mano come i sistemi siano interconnessi nella società di oggi. Di qui il tentativo di esplorare l’idea di grecità, la condizione dello stare nei luoghi, quella dimensione collettiva e comunitaria che contraddistingue l’identità greca e che oggi stiamo perdendo. Il timore è che sia una dinamica non solo temporanea ma a cui ci stiamo tutti abituando”
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