Immaginati per rilanciare l’azione del governo e rinvigorire l’immagine del presidente del Consiglio, gli Stati generali dell’economia partono nel momento meno indicato, quando da una parte Giuseppe Conte appare indebolito dalla diffidenza degli alleati e, per la prima volta, da un’inchiesta della magistratura che lambisce palazzo Chigi, dall’altra la rallentata tempistica degli aiuti europei appesantisce la ripresa italiana. Nei giorni scorsi dal fortino di via del Nazareno, dove la direzione del Pd si è riunita dopo mesi di quarantena politica, non sono arrivati segnali di amicizia verso il capo del Governo, accusato di eccesso di protagonismo ma anche di scarsa concretezza: due sospetti solo apparentemente contraddittori. Al centro c’è l’interrogativo sui progetti che lo stesso Conte coltiverebbe per garantirsi un futuro oltre gli appuntamenti già in calendario nella legislatura, a cominciare dalla successione di Mattarella al Quirinale. Si è fatto un gran parlare sull’ipotesi di un “partito di Conte” quale strumento per la realizzazione delle ambizioni dell’avvocato. L’esperienza del passato è illuminante e al tempo stesso preoccupante: fra i tecnici “prestati” alla politica – Carlo Azeglio Ciampi, Lamberto Dini, Mario Monti – solo il primo ha coronato la sua carriera con la presidenza della Repubblica e, guarda caso, è stato l’unico a non aver fondato un suo partito; anzi non si è mai candidato ad elezioni politiche. Il “partito di Conte” è stato anche testato nei sondaggi e accreditato di una forbice fra il 13 e il 15%, quanto basta per rivoluzionare la geografa elettorale e impensierire i democratici e soprattutto i grillini, primi sponsor politici del presidente. Di qui gli interrogativi, i sospetti, forse anche qualche altolà. Significativo il fatto che sia dalla maggioranza che dall’opposizione è stata adombrata l’ipotesi di una crisi di governo non necessariamente destinata a concludersi con lo scioglimento delle Camere. Risultato: Conte ha decisamente smentito l’idea di mettersi in proprio, ma al tempo stesso ha tentato un rilancio spettacolare della sua iniziativa politico-programmatica, di cui gli Stati generali sono il principale volano e che si configurano ora come l’architrave di una costruzione politica molto personale, che farebbe perno sulla maggioranza di governo avendo come unico punto di riferimento il presidente del Consiglio, meno i partiti che lo sostengono. Scontato il diniego delle opposizioni a fare da comparse agli incontri di villa Pamphili, Conte ha praticamente anticipato le conclusioni degli Stati generali presentando ai giornalisti il suo programma per i prossimi mesi: infrastrutture, Alta velocità ferroviaria, ambiente, industria, semplificazione del Codice degli appalti, Intelligenza artificiale, digitalizzazione, banda larga, 5G, lotta all’evasione fiscale, ponte sullo stretto non escluso: dieci capitoli da scrivere da qui a settembre, sui quali chiedere i finanziamenti europei. E infine decisione imminente sul ricorso al Fondo Salva Stati messo a disposizione dall’Europa e inviso ai Cinque Stelle. Accetteranno i partiti, e soprattutto il Pd, di fare da comparse interpretando un copione già scritto? L’interrogativo è legittimo, così come è lecito attendersi qualche iniziativa tesa a limitare le ambizioni di Giuseppe Conte.
di Guido Bossa
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