Tracce di diffusa e anonima bellezza

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Di Franco Festa

Bisognerebbe cercarla altrove la città, non in un centro storico inventato di avellinesi che di notte si divertono mentre tutto intorno muore. Occorrerebbe scorgere le tracce di bellezza così diffuse e nascoste nei posti più impensabili, anche se frequentati. A via Derna, in un anonimo palazzo, ecco le splendide ceramiche di Raro Pastorelli, che decorano l’ingresso, le ante di un portone e il muro di un garage, con una finezza incantevole, segno di una concezione dell’arte che esce dal laboratorio, vive per le strade, come tante volte questo bravissimo ceramista ha voluto fare. Due grandissime, sottovalutate istituzioni di formazione culturale e professionale, l’istituto d’arte e l’istituto agrario. hanno partecipato da decenni al processo di modernità della città, con risultati apprezzati in tutto il mondo, mentre lo sguardo della buona borghesia avellinese era rivolto altrove. Al Corso il retro di palazzo Trevisani, uno dei più antichi della città, oggi finalmente in ristrutturazione, è sede di un giardino incantevole, spesso diventato ricettacolo di rifiuti e che oggi va accuratamente salvaguardato. Arriva fin lì l’incanto della magnolia che segna a via Gramsci l’arrivo della primavera. E continuiamola, la nostra passeggiata minore. Lungo i Platani, dopo l’ex Istituto Magistrale, ecco Villa Testa, con la sua vertiginosa inferriata, il suo splendido cancello di inizio Novecento e la sua fontana, che giacciono in uno stato di scandaloso e indifferente abbandono tra nuovi palazzi e cortili anonimi di consumatori notturni di birre seriali. Più avanti, in un palazzo a metà dell’ex viale, uno splendido scalone liberty adorna uno storico e dignitoso interno. Il giardino del ricovero Rubilli, più in alto di fronte, è un angolo naturale turbinante e curatissimo. A Valle, dietro nuovi e vecchi fabbricati, si aprono giardini curati, profumati e fioriti, che tolgono il respiro. A un passo, un ponticello attraversa un affluente del Rigatone, o san Francesco, in un raro tratto in cui il fiume corre scoperto, prima di finire più avanti nella tomba di cemento che lo cancella agli occhi di tutti fino a che all’altezza del Castello defluisce nel Fenestrelle. Lì giù, alle spalle di Corso Umberto, il fiume maggiore riacquista, tra le case e gli argini, il suo vigore, la sua forza trascinante, tra un nuovo posticcio e i residui cadenti ma ancora nobili di una vecchia struttura medioevale, vicoli di ex ferrai e impagliasedie, scalinate contorte, freschi e brevi cunicoli, e racconta ogni giorno, a chi sa ascoltare, la sua primigenia ragione di città d’acque. E perdiamoci lieti lì intorno, per la scalinata fiorita dietro la fontana dei tre cannoli o per una delle tante rampe che ancora collegano la collina della Terra alla zona più in basso, alcune curate, altre deturpate, altre ancora impraticabili. E potremmo vagare, vagare tra tante altre bellezze nascoste al cuore, non agli occhi: dalla collina dei Liguorini, dove la meravigliosa e silenziosa struttura della Chiesa e degli edifici annessi attende un suo restauro, dopo essere sfuggita, almeno così sembra, alle mire speculative di un supermercato; alla successione di luce e di verde delle cupe lussureggianti e misteriose oltre il Moscati, sottratte per ora al pretenzioso e anonimo destino delle villette della zona. Occorrerebbe poco per preservare questo diffuso patrimonio di bellezza: cura, ordinaria manutenzione, senso del bene pubblico. La nostra unica speranza, invece, è che non diventino punti di intervento di altri progetti magna magna, il cui unico fine è la distruzione di tutto ciò che siamo stati.


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