“E’ stata proprio Aterrana, il borgo in cui sono cresciuta, ad avermi trasmesso il desiderio di raccontare. Era un paese che manteneva una forte cultura arcaica, fatta di leggende, figure misteriose, riti e tradizioni. Se ripenso alla mia infanzia mi sembra di essere cresciuta in uno dei Cunti del Basile”. A raccontarsi è la scrittrice Licia Giaquinto, ospite a Villa Amendola del ciclo di incontri “Patto per la letteratura” promossi dall’associazione Il Bucaneve guidata da Maria Ronca, insieme alla poetesse Antonietta Gnerre. Oggi Licia vive a Bologna ma non ha mai reciso il legame con l’Irpinia “Ero decisa a girare il mondo, proprio come canta Patty Pravo in una delle sue canzoni, ho fatto l’autostop attraversando mezza Europa. Poi la decisione, dopo la prima laurea, di iscrivermi a medicina a Bologna, qui ho incontrato l’amore e ho abbandonato il progetto di viaggiare. Mi sono fermata qui, non ho rimpianti, ho sempre accettato quello che la vita mi ha donato, altrimenti oggi non avrei due figli meravigliosi. Bologna, poi, è una città bellissima”
Da anni Licia combatte con l’associazione da lei fondata perchè il suo borgo Aterrana sia valorizzato e restituito al suo splendore. “Nella ma vita – spiega – è stato fondamentale. Mia madre ha incontrato mio padre nei boschi di Solofra, vicino alla Scorza e lì mi hanno concepito. Ma papà era un anarchico, senza tetto, nè legge, non voleva occuparsi della sua famiglia. Un giorno mia madre ha preso la carrozzella e mi ha condotto da Solofra al paese dei miei nonni, Aterrana, e qui siamo rimasti qui. Mio padre ha cominciato a frequentarci, lui e mia madre sono rimasti insieme per tanti anni”. Ricorda come “Devo tantissimo a questo paese, è un borgo selvaggio, un detto recita che se incontri un lupo e una persona di Aterrana, dovrai guardarti dalla persona di Aterrana prima ancora che dal lupo. Era un paese dominato da una cultura arcaica, vicinissimo a paesi in cui la modernità aveva cancellato la cultura contadina e si era imposta la mentalità borghese, ma rimasto fuori dal tempo e dallo spazio. Sono cresciuta nell’anarchia più totale, in strada, eravamo dei piccoli animali. Non è un caso che il mio primo romanzo si intitoli “Fa così anche il lupo”, il riferimento è al modo di vivere degli abitanti di Aterrana, scandito da tradizioni fortemente pagane, malgrado la presenza della chiesa. Da quello stesso universo nasce un libro come ‘La ianara’”
L’incontro è stato anche l’occasione per parlare della nuova edizione di “Cuori di nebbia”, un romanzo noir ambientato nella pianura emiliana di fine anni ’90, con personaggi caratterizzati da un’ossessione che li porta a fare i conti con l’oscurità che abita nel loro cuore. Un romanzo che abbraccia il noir, anche se confessa Licia, non aveva in mente un genere ben preciso nello scriverlo.
“Quando scrivo non penso di misurarmi con nessun genere. Ho semplicemente una storia che preme, che vuole uscire allo scoperto, che mi chiede di essere raccontata.
Cuori di nebbia l’ho iniziato nei mesi successivi a un episodio che mi è capitato lungo la via Emilia. Stavo andando a Sassuolo a comprare delle mattonelle, quando un tir, che correva a velocità folle, in una curva ha sbandato, e per poco non si è schiantato contro la mia macchina. Il soffio di un angelo benefico mi aveva spostato più in là dello spazio minimo indispensabile a non finire schiacciata. Un contadino mi aveva invitata a bere un bicchier d’acqua nella sua casa. Poi era arrivata la moglie che aveva cominciato a sparare a zero contro i camionisti, che correvano come pazzi, e contro le puttane che stazionavano giorno e notte lungo la via Emilia. Mi era sembrato, mentre parlava, che sparasse a zero anche contro suo marito. È stato il primo personaggio del romanzo: Mirella”.
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