Minichiello ritorna nella sua Melito: sto ancora pagando il prezzo delle mie azioni. Quel dirottamento, un gesto di disperazione

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Ha combattuto per quasi un anno, era il 1968, nel Vietnam. Ha partecipato a ventisei spedizioni di combattimento. Aveva diciassette anni e mezzo e veniva da Melito Irpino,  da dove era partito con la sua famiglia, dopo il terremoto del 1962 che aveva devastato l’Irpinia e il suo  paesino. Voleva diventare un eroe, lui che era un marine addestrato a fare la guerra. Per dimostrare agli altri ragazzi yankee che era come loro e che, quella cittadinanza a stelle e strisce, la meritava. È stato il primo dirottatore della storia, un anno dopo, nel 1969, perché voleva tornare in Italia. Facendo virare un Boing partito da Los Angeles per Il Cairo, in Egitto, dove non è mai arrivato, e poi per l’aeroporto di Fiumicino. Un gesto, sopratutto la storia della vita di Raffaele Minichiello, che è rimasto nella storia e che il regista Alex Infascelli ha raccontato in un docufilm presentato anche al Festival del Cinema di Roma. E riproposto ieri proprio al suo paese, Melito Irpino appunto, con la presenza di Raf, in uno dei suoi ritorni in Italia, e alla presenza di tantissimi suoi compaesani. Un appuntamento voluto dal sindaco Michele Spinazzola e coordinato dalla giornalista di Crt Taurasi Edy De Michele.”Kill me if you can” stava scritto sull’elmetto che indossava Raf. Così come i suoi compagni di reparto avevano scritte altre frasi. Ma quella dell’oriundo italiano era  una specie di sfida:”Ammazzami se ci riesci”, rivolto ai vietcong.

“Allora pensavo che quella guerra era giusta- dice l’ex marine-. Tra i  giovani c’era molto patriottismo e si credeva nella bandiera. Ma le cose, una volta arrivato lì,  erano diverse. Tutte le guerre sono sbagliate. Anche oggi”. Quel dirottamento fu un gesto di disperazione. All’inizio ci fu molta paura, i notiziari di tutto il mondo si interessavano a lui. Negli States ne parlò Walter Cronckite, il giornalista allora più famoso, e in Italia ne scrisse, sul Tempo, Pierpaolo Pasolini. Ma la vita di Raffaele Minichiello non è stato solo quel momento. Dopo un anno e mezzo scontato a Regina Coeli, dopo che era stato arrestato nelle campagne romane, cercò lavoro. Lo trovò e si sposò. Attraversato da drammi familiari come possono essere la morte prematura, una in attesa del parto e un’altra per malattia , delle sue due mogli.”Mi è crollato il mondo addosso. Mi sono sentito uno zero-dice nell’intervista con i giornalisti in piazza degli Eroi, prima della proiezione del docufilm di Infascelli-. Ho sempre dovuto lottare nella mia vita. Da piccolo, nei marine. Ma non avevo paura di nessuno”. In Vietnam ha sentito”l’odore della morte” appena arrivato.” Ho visto subito 400 morti. Il mio battaglione, però, non ha mai sparato sui civili”. Adesso porta in giro la parola di Dio, attraverso la Bibbia. Il cui versetto di un salmo mi ha cambiato la vita”. Quello in cui Gesù crocifisso dice”Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno”.”Io credo nel Dio della Bibbia, non ho risentimento per nessuno”. Glielo avevano regalato e che portava nel taschino della sua uniforme.”Ma che leggevo senza capire a fondo”. Era troppo giovane. Quel processo per il dirottamento è stato l’argomento del giorno per tanto tempo e in Usa sono stati sempre ondivaghi in merito alla riabilitazione. Poi una lettera all’allora presidente Bill Clinton ha cambiato il corso della storia. A Raf è stata restituita la cittadinanza americana. Adesso risiede a Seattle, dove è ripartito con un volo via Parigi.” Quando siamo arrivati in America ci siamo trovati in una scuola dove, ovviamente,  nessuno parlava la nostra lingua. E io e mia sorella, visto che nessuno ci aiutava, abbiamo imparato le prime parole in inglese dopo aver comprato un dizionario”.

Minichiello, dopo la sua impresa, tornato a Melito è stato accolto”come un fratello”.E qui si emoziona.”Raf è una persona straordinaria- dice il primo cittadino di Melito-. Il dirottamento è l’episodio più eclatante ma la sua vita è molto più complessa e interessante.”Alle stesse condizioni di allora forse lo rifarei. Ma gli sbagli si pagano e dagli errori si impara. E quello che ho fatto io lo sto pagando ancora oggi”. L’onore, però,”vale più della mia stessa vita”. Il 1969 è stato un anno di grandi cambiamenti: il festival di Woodstock, dove si riunirono un milione di giovani della stessa età di Raffaele, che ascoltarono musica per giorni e cambiarono una generazione e il loro modo di essere. E la chiesa di Papa Giovanni XXIII, che con il Concilio Vaticano II si apriva al mondo. Più vicina al sociale e ai poveri. Ma che pensava un giovanotto italo americano che combatteva una guerra lontano da casa insieme ad altri due milioni di volontari?” Mi sentivo americano al cento per cento. Mi dicevano che ero un marine modello”. Quindi parte la proiezione di”Kill me if you can”.

Giancarlo Vitale


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