L’affare dell’acqua e l’Irpinia derubata

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Di Gianni Festa

Una sera d’estate, conversando con l’ex ministro per l’Ambiente Sergio Costa, giunto ad Avellino per un convegno, mi disse che il business del futuro riguardava la gestione dell’acqua e quella dei rifiuti. Tra l’altro aggiunse che le multinazionali, alcune delle quali in odore di mafia e, comunque, malavitose, stavano allungando le mani su questi settori. Non mi sorpresero le sue affermazioni, essendo acqua e rifiuti, per ragioni diverse, tra i temi che in Campania e in Irpinia sono all’ordine del giorno. Parliamo dell’acqua. In particolare delle sorgenti irpine e degli acquedotti di Caposele, Cassano, Serino e di tante altre sorgenti che sono utilizzate (espropriate) dalla Puglia, dal Napoletano e in minima parte anche dalla Calabria. Senza escludere il ruolo che ha svolto e svolge l’Alto Calore, ente in dissesto in attesa di morte. L’Irpinia, se avesse avuto una classe dirigente illuminata e non di politici ambigui e corrotti, nel tempo, sia prima che dopo, non avrebbe oggi dovuto elemosinare ad alcuno per percorrere la strada dello sviluppo. Lo aveva ben capito Fiorentino Sullo, onesto e scontroso parlamentare e più volte ministro negli anni del dopoguerra, allorchè puntò la sua attenzione sulla risorsa acqua che avrebbe potuto fare dell’Irpinia una realtà dinamica per lo sviluppo. Fu lui a volere l’Alto Calore come riferimento della gestione delle risorse idriche. Con il passare del tempo l’ente si è trasformato in un carrozzone politico portato fin sull’orlo del fallimento. Del “sequestro” delle acque irpine sono almeno trenta anni che con inchieste e riflessioni documentate denuncio lo scippo che si è fatto in primis da parte dell’Acquedotto pugliese, oggi padrone assoluto delle sorgenti di Caposele grazie alla complicità delle amministrazioni locali succedutesi nel tempo e, soprattutto, della Regione Campania con la presidenza di De Luca. Bisogna andare indietro nel tempo, al primo governo di Silvio Berlusconi, per comprendere come la risorsa idrica prodotta dai monti irpini sia diventata proprietà, già del ministro del Tesoro, passando nelle mani dei pugliesi con l’Acquedotto locale. Fu il premier di Arcore a decidere che il ministero del Tesoro dismettesse le quote possedute per regalarle all’allora astro nascente governatore della Regione Puglia, Raffaele Fitto. Intorno al tavolo della spartizione delle acque irpine c’erano Fitto, per conto della regione Puglia, il governatore pro-tempore della Regione Basilicata, e i tecnici e gli amministratori dell’Acquedotto pugliese. La Regione Campania, presidente Antonio Bassolino, fu assente. Lo scippo si consumò con la maggioranza delle quote alla Puglia, una quota andò alla Basilicata e alla Campania niente. Dalla storia all’attualità: oggi si consuma, per responsabilità del governatore De Luca, il secondo e ultimo scippo delle acque irpine. Perchè con un provvedimento del governatore, nell’agosto del 2022, la gestione delle risorse delle acque ( Sorgenti di Cassano e Montemarano) passa nella titolarità della Regione, escludendo l’Alto Calore. La stessa Regione Campania bandisce nello scorso giugno una gara per l’affidamento di tutte le strutture e sorgenti. Si materializza il rischio palesato dall’ex ministro Costa: un affare per le multinazionali. E l’Irpinia che vanta la ricchezza del petrolio bianco resta a secco. Grazie anche al governatore De Luca e ai suoi leccapiedi consiglieri regionali irpini rimasti in silenzio guardando lo scippo.


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