La polveriera mediorientale e la debolezza europea

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Foto: agenzianova.com

di Gerardo Salvatore

Lo scoppio della tremenda polveriera mediorientale, come la reazione europea all’invasione russa dell’Ucraina, ha riproposto il problema della debolezza dell’Unione Europea sullo scacchiere internazionale, nonostante alcuni sforzi diplomatici destinati a rimanere tali a fronte dell’enorme pericolo bellico dalle imprevedibili proporzioni.

A distanza di trent’anni dal “Libro bianco” della Commissione europea presieduta da Delors, la realizzazione solo parziale dell’unione economica e politica determina uno scarso livello internazionale di reale incisione. In sostanza ci troviamo di fronte a un’organizzazione politica carente di una propria sovranità che si esplicita nel potere supremo di un governo, indipendente da ogni altro: il potere dell’UE deriva dalla scelta degli stati membri di limitare la propria sovranità in alcuni ambiti.

Attualmente lo scenario globale ci presenta una situazione per cui non esistono Stati perfettamente sovrani, ma unicamente Stati servi gli uni degli altri. Nel 1954 il progetto di Jean Monnet – che aveva come obiettivo di evitare un eventuale riarmo della Germania, dotando i sei paesi fondatori della Comunità europea – naufragò perché l’Assemblea nazionale francese non ratificò il trattato CED (Comunità Europea di Difesa). Negli anni ’90 i conflitti nei Balcani avevano fatto maturare nei Paesi europei la consapevolezza che l’adesione alla NATO assicurava benefici, ma li rendeva dipendenti dagli Stati Uniti.

Dopo la caduta del muro di Berlino gli stati membri UE hanno reputato più vantaggioso investire risorse nella crescita economica e addossare i maggiori costi della sicurezza al maggiore partner dell’Alleanza Atlantica, gli Stati Uniti. Questa scelta ha sicuramente indebolito l’UE sotto il profilo dell’autonomia politica e della capacità di incidere con efficacia nello scenario globale, soprattutto nei momenti di preoccupante conflittualità come quelli attuali. Attualmente gli sforzi diplomatici europei, di per sé apprezzabili, si rivelano inefficaci e si avverte, con amarezza, che le parole di Luigi Einaudi costituiscono una profezia non raccolta:

“Esercito comune e finanza comune sono dei termini inscindibili. Una federazione si inizia male su basi puramente economiche. Alla prima rissa fra interessati, tutto va in rovina perché manca la forza politica atta a cementare l’edificio comune.” Quanto accaduto nel corso degli ultimi decenni fa sorgere, fra tante, una domanda preminente: per quale motivo si ritiene che incardinare la sicurezza europea della NATO finisca inevitabilmente per indebolire l’UE a livello di autonomia decisionale? La risposta, non facile, deve comunque, partire dalla consapevolezza che gli avvenimenti dovranno necessariamente impegnare le classi dirigenti per un rinnovato ed immediato slancio costruttivo perché un’Europa non dialogante anche di fronte agli orrori della guerra semplicemente non può essere Europa.

La Conferenza sulla sicurezza di Helsinki del 1975, in un contesto di fortissimo confronto tra Unione Sovietica e Stati Uniti, riuscì a trovare un assetto specifico per la sicurezza europea, grazie alla Ostpolitik del cancelliere tedesco Will Brandt, inaugurata cinque anni prima. In sostanza dobbiamo oggi riconoscere che la convinzione di Einaudi secondo cui i cittadini europei avessero bisogno dell’unione politica e non della protezione esterna per la garanzia della sicurezza e del benessere dei singoli Stati nazionali, è sostenuta dai fatti concreti. È anche vero, frattanto, che il crescente tentativo di un mini multipluralismo dei paesi non solo europei, si sta rivelando solo un apprezzabile, ma senza efficacia contributo almeno per una tregua per motivi umanitari.


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