«Il Pd è un grande partito e quindi è chiaro che possano esserci legittime aspirazioni da parte di tutti». Le parole dell’ex senatore Enzo De Luca rappresentano solo un pezzo della verità, il lato dei “diritti” che spettano ad un grande partito. Nell’altro, quello dei “doveri” di un grande partito, c’è la necessità di esprimere posizioni chiare, saper parlare con parole comprensibili e fare in modo che la trasparenza nei comportamenti sia il comune denominatore per iscritti, militanti e, soprattutto, dirigenti. Il Pd sembra essere più interessato alla parte che riguarda i diritti e dunque una legittima (perché lo è) critica al segretario nazionale mossa dal sindaco di Bergamo diventa un’arma con cui si rischia di far cadere il governo e dunque non se ne deve parlare, mentre a livello regionale e provinciale si segue il consiglio che il Conte Zio dispensa al Padre Provinciale nel diciannovesimo capitolo dei Promessi Sposi: “troncare, sopire, sopire, troncare”. E allora nessuna discussione sui transfughi del centrodestra che stanno riempiendo le liste di appoggio a De Luca o sulla voglia di dirigenti e amministratori dem di essere candidati a prescindere in barba a regolamenti e statuto. Mentre in Irpinia non si sono ascoltate parole sulla situazione negli enti e sulle autocandidature. Il messaggio che il Pd sta facendo passare all’esterno è quello di un partito senza linea dove ognuno decide la mattina (per se stesso e per coloro che lo seguono) quale debba essere la rotta da seguire sulle singole questioni e magari, se c’è un po’ di sicumera in più, spacciarla per la posizione del partito. Volendo rimanere sulle vicende di casa nostra è decisamente anomalo (in senso negativo) che il partito di maggioranza relativa negli enti non dica una parola su quanto sta avvenendo all’interno di Irpiniambiente o sulla vicenda del Biodigestore. La situazione della partecipata dalla Provincia che gestisce la raccolta dei rifiuti è grave: stipendi non pagati, il caos sugli straordinari e il monte ore non lavorate. Ce n’è quanto basta per convocare i sindaci a via Tagliamento (una prassi utilizzata solo prima di fare delle nomine ahinoi) per discutere, cercare di capire (anche le difficoltà dei comuni a pagare le quote) e assumere una posizione come partito. E invece, niente di tutto questo. E sul Biodigestore? Qualcuno ha capito qual è la linea del Pd su un argomento che in campagna elettorale rischia di essere una pericolosa buccia di banana per i sostenitori di De Luca? Va bene Chianche? E perché? Chi ha stabilito che la commissione di esperti, nominata dall’Ato, dovesse anche stilare una classifica dei siti esaminatu? E perché, anche se con un esito non è vincolante, non se ne discute nell’assemblea dei sindaci? Come si comporteranno i candidati del Pd in campagna elettorale? Chi ha sempre detto no a Chianche avrà il coraggio di mantenere il punto anche se, per ipotesi, da Santa Lucia non dovessero arrivare aperture per una possibile modifica? Buio pesto a via Tagliamento. La stessa oscurità che avvolge la vicenda delle candidature. Certo, tre uomini per due posti, la storia è nota, ma il punto è un altro: chi decide? In base a cosa decide? Ci saranno (e quante saranno) le deroghe? Perché una potrebbe toccare ad uno dei tre, anzi dei due visto che l’uscente è già ricandidato (vivaddio una decisione l’hanno presa). Magari a Ciarcia che, non abbiamo dubbi, non confonderà mai i due ruoli (amministratore di Alto Calore e candidato del Pd) ma a cui un partito, che oltre ai “diritti” pensa anche ai “doveri”, avrebbe dovuto ricordare che esiste l’opportunità politica in base alla quale si possono coltivare ambizioni legittime senza che nemmeno il piccolo dei sospetti possa sfiorare il candidato e che forse quella carica andava lasciata. O forse a Petitto che ieri mattina ha “ufficializzato” la sua candidatura nella lista dem. Che l’ex Presidente del consiglio comunale avesse intenzione di correre alle Regionali lo sapevano tutti, che fosse candidato nella lista era cosa nota (fino a stamattina) a lui ed a qualche altro ed anche in questo caso senza che nessun dirigente di partito ci abbia fatto capire chi lo abbia deciso ed in base a quale criterio. Un campionario che non è propriamente quello che si addice ad un grande partito dove certamente le aspirazioni sono tante e legittime ma, al contempo, altrettante dovrebbero essere le assunzioni di responsabilità, le pretese di chiarezza, la voglia di sgombrare il campo dal più piccolo sospetto. Un partito che ambisce ad essere riferimento deve avere una classe dirigente che sappia guidarlo e indicare una linea sulla quale chiedere il consenso attraverso una discussione. Nel Pd, in questo Pd, siamo all’uno vale uno. O poco più.