Giambattista Assanti. Resistente e appassionato è il titolo del libro edito da Lucarelli che Claudio Bruno ha voluto dedicare al compianto regista di Mirabella Eclano, con interventi, testimonianze, immagini e documenti sulla figura e l’opera di Assanti. Dal volume, di prossima uscita, riportiamo l’intervento del direttore di “CinemaSud” Paolo Speranza
A Giambattista Assanti, amico e regista con cui ho condiviso quarant’anni (dai tempi della federazione giovanile comunista) di iniziative e di sogni, sono sicuro che piacerebbe essere ricordato così, con il linguaggio del cinema: poche e calzanti parole e alcune scene di intensa suggestione emotiva da conservare nel cuore e negli occhi per sempre. Come quella che abbiamo vissuto nel suo nome nel settembre di due anni fa, in una limpida sera d’estate, in un paesino del Cilento, Rutino Scalo.
In quella stazione abbandonata e lontana dal centro abitato, a pochi metri dai binari su cui passavano treni veloci ma ormai inafferrabili come i bagliori di un lampo, si proiettava L’ultima fermata, uno dei film più belli di Battista, certo la sintesi migliore della sua idea di cinema, tutta vissuta nel segno di alcuni valori ai quali è rimasto fedele fino all’ultimo fotogramma della sua esistenza: l’amore per la propria terra (intesa come provincia, paese, campagna, a partire dalla sua Mirabella Eclano) e per i suoi valori antichi, riflesso fin dai primi cortometraggi e documentari e ribadito nel fortunato Le campane di Sant’Ottone, sulla mobilitazione popolare delle comunità di Ariano Irpino e dell’intera Ufita contro la realizzazione di una discarica; l’impegno artistico e civile per l’Irpinia ed il Sud; la concezione del mezzo cinematografico come veicolo di progresso culturale, partecipazione, democrazia attiva; l’ammirazione fedele per la grande storia del cinema italiano, i suoi registi, i suoi attori, coronata dalla gioia quasi fanciullesca di avere nel cast del suo ultimo film una diva italiana nota in tutto il mondo come Claudia Cardinale; il coraggio di prendere posizioni coerenti e inequivocabili sui nodi cruciali della storia recente (con i suoi spettacoli teatrali sulla Shoah), sull’eredità perenne dell’antifascismo (Il giovane Pertini, il lavoro più apprezzato dalla critica nazionale), sulle lotte e i diritti degli operai (Le lacrime di Porto Marghera, un corto intenso e artisticamente geniale sulla triste vicenda dei lavoratori del Petrolchimico, che ho avuto il piacere di vedere accanto a lui alla Mostra del Cinema di Venezia, in una Sala Pasinetti partecipe e commossa), sulla dialettica Nord-Sud di cui vedeva l’inconsistenza strumentale, fumo negli occhi per coprire la vera dicotomia del nostro Paese, quella fra i potenti e i precari, gli arrivisti e gli ingenui sognatori, espressa in un altro dei suoi titoli più importanti e da riscoprire: L’ultima stella, in cui lanciò in uno dei primi ruoli da protagonista (Giambattista aveva anche il fiuto del talent scout) una Serena Rossi appena ventenne.
Mi accorgo che in questi flash sulla sua filmografia ha preso vita il programma di una retrospettiva completa, che Assanti merita e le associazioni di cinema di Avellino (Centrodonna, Cinecircolo “Santa Chiara”, ImmaginAzione, “Quaderni di Cinemasud”, Zia Lidia Social Club) hanno già deciso di dedicargli, auspicabilmente nel nuovo Cinema Eliseo, dove Battista si sarebbe illuminato d’immenso non soltanto come cineasta e proiezionista ma anche come spettatore entusiasta e curioso, e come uomo del Sud che vedeva realizzarsi il sogno di una struttura culturale votata alla formazione ed al protagonismo dei giovani, come nel “Laceno d’Oro” e nei cineforum promossi dalle associazioni irpine.
Ci ritroveremo presto, caro Battista, con tanti amici vecchi e nuovi, per ricordarci di te e rivedere i tuoi film, come ha già fatto il tuo amato paese natale, che ti ha dedicato il Teatro Comunale. E come è avvenuto due anni fa a Rutino Scalo.
Il film di quella serata, in un borgo così simile, nel paesaggio e nella vita quotidiana dei suoi abitanti, ai comuni dell’Alta Irpinia attraversati dalla linea ferroviaria Avellino-Rocchetta Sant’Antonio, ti avrebbe riempito di emozione e di orgoglio.
Per vedere sul grande schermo, in piazza, L’ultima fermata, quel luogo disabitato di poche case scheletriche si era come d’incanto riempito e animato, attirando anche turisti e residenti dai paesi vicini. La regista della serata, Maria Grazia Caso, direttrice di una delle manifestazioni più longeve e serie d’Italia, il Mediterraneo Video Festival, e infaticabile promoter del suo Cilento e dell’idea di comunità nelle zone interne, aveva compiuto l’ennesimo miracolo culturale. Del resto ti aveva conosciuto e ti stimava, e condivide la tua stessa filosofia di cinema e di vita, la tua identica determinazione ad andare avanti comunque, anche con pochi mezzi, con il rischio di dover pagare dazio (come ti capitava spesso) alla precisione organizzativa, animati da un amore ai limiti del masochismo per una terra – il Sud interno – prodiga di riconoscimenti postumi e di pacche sulle spalle ma ancora avara di sostegni concreti per i suoi figli più talentuosi.
Per condividere quella proiezione in tuo onore Maria Grazia aveva voluto accanto a sé chi ti scrive e un altro tuo amico ed estimatore, il giornalista Gianni Colucci. A tutti e tre bastarono poche parole per farti conoscere a quel pubblico genuino, attirato a Rutino Scalo anche dalla suggestione di scoprire un posto quasi esotico in quella sua dimensione arcaica. Ci ritrovammo in più di duecento, molti anche in piedi, di tutte le generazioni, a vedere L’ultima fermata, in un silenzio partecipe e assoluto.
Ai titoli di coda partì un applauso fragoroso, e al riaccendersi delle luci molti avevano gli occhi lucidi: per le emozioni suscitate dal tuo film, in una location che più congeniale di così non si poteva, e per il rimpianto di non aver conosciuto prima quel regista così valido e appassionato di cui avevamo provato poco prima a ricordare la sua storia interamente intrecciata al cinema, fin da quando, bambino, seguiva il padre Gaetano nelle proiezioni in piazza nelle contrade irpine, e poi fedele per tutta la vita alla stessa passione del ragazzino che nel film Splendor di Ettore Scola (uno dei suoi registi preferiti ed amico) resta da solo nella piazza di Trevico, davanti al grande lenzuolo bianco scosso dal vento, per continuare a immergersi nella magia del grande schermo.
Aver condiviso con Giambattista e con suo fratello Giuseppe la sua ultima iniziativa pubblica, in una sera d’estate del 2020 a Montemiletto, in una piazza ventosa come la Trevico di Splendor, per presentare il film di Scola La più bella serata della mia vita, rappresenta per me un onore indimenticabile e al tempo accresce il cordoglio per la sua scomparsa.
Ci conforta la certezza che la sua eredità artistica lascia una traccia profonda, e continuerà a vivere e a crescere nell’impegno creativo del fratello Giuseppe e del primogenito Gaetano, eredi e continuatori di una tradizione familiare che da varie generazioni fa onore a Mirabella Eclano, all’Irpinia, al migliore cinema italiano.
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