Abellinum: nel futuro un percorso non solo archeologico ma anche paesaggistico e botanico

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Un anno di lavori tra scavi e ricerca bibliografica, 12 mesi costruiti sulla solida sinergia messa in atto tra Comune di Atripalda, Soprintendenza ai Beni Culturali e Dipartimento Scienze del Patrimonio Culturale dell’Università di Salerno: obiettivo prima di tutto creare un “sistema” intorno all’attuale Abellinum, sito archeologico di inestimabile valore, fin troppo poco conosciuto, che potrebbe regalare all’Irpinia e alla cittadina della Valle del Sabato una nuova luce dal punto di vista del turismo, creando un polo alternativo in Campania rispetto allo strapotere intoccabile del binomio Pompei-Paestum.

In una gremita conferenza stampa che si è tenuta ieri mattina presso la sala consiliare di Atripalda, gli esperti dell’Unisa, i responsabili della Soprintendenza e gli amministratori irpini hanno illustrato i punti salienti di un progetto che è solo all’inizio, ma che, con il perdurare della collaborazione tra le parti potrebbe portare nel giro di poco tempo alla realizzazione di nuovi scavi e a nuove incredibili scoperte che potranno dare solo lustro all’area archeologica.

Le tecnologie usate hanno permesso di carpire che esiste la possibilità di accedere a nuovi patrimoni storici, addirittura a una possibile nuova domus. In tal senso ci va cauto ma non lo esclude, Luca Cerchiai, Direttore Dipartimento Scienze del Patrimonio Culturale Università di Salerno: «Il nostro lavoro è continuato anche a distanza, anche durante il lockdown in maniera molto chiara e molto intelligente. Quello a cui siamo arrivati è importante sia per quanto riguarda la conservazione del patrimonio archeologico e dunque per il suo potenziale, sia per tutti quegli elementi di contesto ugualmente rilevanti, come l’arredo verde, lo studio della vegetazione, le prospettive dei percorsi. Abbiamo conseguito dei risultati scientifici e allo stesso tempo abbiamo impostato la politica del parco che è essenziale. L’Antica Abellinum ha due punti forti, intanto è un luogo pubblico, perciò deve essere accessibile, non è limitato ad essere un prototipo di ricerca, è un’istituzione a cui possono partecipare tutti. E poi il segreto del Parco Archeologico è la sua permanenza, quindi la gestione archeologica, paesistica e ambientale. Su questo duplice binario le istituzioni si sono mosse sempre molto bene, nonostante la chiusura imposta, hanno avuto la forza per unirsi e superare la pandemia».

Le scoperte sono state delle vere e proprie sorprese anche per il team universitario: «Si è riusciti a capire molto meglio di prima il potenziale archeologico, abbiamo lavorato su grandi superfici per ricavare elementi utili a ricostruire la pianta della città romana, soprattutto sono state individuate quelle zone già interessate da precedenti lavori, dove la parte archeologica non esiste più, è stata ad esempio individuata una grande anomalia che potrebbe essere una cava. Questa parte in realtà può essere una riserva per fare all’interno del parco una serie di operazioni senza danneggiare le strutture, in un parco archeologico anche i vuoti sono importanti. L’obiettivo scientifico-archeologico della ricerca è quello di aver chiarito dove possiamo muoverci e come si può iniziare a progettare nel tempo. Fondamentale è anche la gestione del tessuto verde, lo studio delle piante arboree e la loro salute per avviare politiche di manutenzione e conservazione della natura, perché un’area archeologica senza verde sarebbe morta. E da qui si apre un ampio scenario anche sulla didattica, si potrebbero fare visite anche focalizzandosi sulle piante e arricchire così il percorso».

La Dott.ssa Francesca Casule, Soprintendente Abab Avellino, insiste anche sull’aspetto culturale del lavoro svolto: «Siamo di fronte ad una situazione di grande interesse che in prospettiva consentirà la possibilità di ottenere dei risultati fondamentali in termini di conoscenza prima di tutto, perché senza un sapere alla base l’attività di scavo – che ci auguriamo possa riprendere – mancherebbe di certezze e aprirebbe dei margini all’errore. In questo modo ci muoveremo in sicurezza. L’organizzazione è stata studiata al meglio, l’Università ha impegnato un pool multidisciplinare, si va dalla paleobotanica alle indagini fisiche e chimiche, fino alle prospezioni, c’è tutto quello che può essere utile a ricostruire un momento della storia di questa comunità. Le premesse ci sono, questa area archeologica può ancora offrire molto al campo degli studi, stiamo collaudando i vecchi lavori e appena ci sarà la disponibilità di nuovi fondi procederemo con le attività sempre affiancati dall’Università e dall’Amministrazione».

Salvatore Antonacci, Delegato del Parco Archeologico commenta così la giornata: «Parliamo spesso di Parco per Abellinum, ma in effetti Parco ancora non lo è. Non arriveremo mai a competere con colossi come Paestum e Pompei, è impensabile, come numero di turisti e appeal culturale. Eppure insisto sul fatto che l’Irpinia deve fare sistema: Abellinum da sola non può farcela, ma abbiamo la vicina Avella e l’antica Aeclanum. Perché non pensare nel prossimo futuro a un trinomio da proporre ai visitatori, rilanciando l’Irpinia in chiave turismo culturale-archeologico. Chi viene qui da noi non avrà mai anche il vantaggio della vicinanza del mare, unendo nella stagione estiva l’aspetto ludico a quello culturale, come accade nei già citati siti, con cui non avrebbe senso competere, ma solo creare una alternativa.

Penso perciò a viaggi in Irpinia lungo le strade del vino, per respirare la nostra aria pura, per visitare luoghi di culto come Montervergine, per degustare il nostro cibo genuino e quindi anche per visitare reperti archeologici straordinari che però vanno presentati al pubblico nel modo migliore. Per questo occorre programmare: visite guidate, presenze di esperti, campagne social, siti web attrezzati, multilingue. Se tutto questo in parte c’è già, deve di certo essere implementato, aggiungendo che gli scavi del futuro potrebbero regalare nuove incredibili sorprese».



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