Microplastiche rilevate nelle placche delle arterie umane

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Uno studio italiano, pubblicato sulla rivista “The New England Journal of Medicine”, ha rilevato la presenza di microplastiche nelle placche aterosclerotiche e ha fornito una prova inedita della loro pericolosità

Le microplastiche sono arrivate addirittura nelle arterie. La scoperta è stata fatta da un pool di ricercatori dell’Università della Campania Luigi Vanvitelli che ha pubblicato lo studio sulla rivista The New England Journal of Medicine. Finora le micro e nanoplastiche (particelle plastiche con un diametro rispettivamente inferiore a 5 millimetri o a 1 micron, cioè 0,001 millimetri) erano state rinvenute in diversi organi e tessuti, tra cui la placenta, il latte materno, fegato e polmoni, compresi i tessuti cardiaci. Ora questo studio italiano ha rilevato la loro presenza nelle placche aterosclerotiche, cioè nei depositi di grasso nelle arterie, e ha fornito una prova inedita della loro pericolosità.

Cosa dice il nuovo studio italiano

I dati raccolti, monitorando 257 over 65 seguiti per 34 mesi dopo un intervento di endoarterectomia alle carotidi, mostrano che le placche aterosclerotiche piene di microplastiche sono più infiammate della norma, quindi più friabili ed esposte a rischio di rottura dando luogo a trombi. Questo determina per il paziente un aumento almeno due volte più alto della possibilità di andare incontro a un infarto, all’ictus e addirittura al decesso. Possono anche alterare il ritmo cardiaco e contribuire allo sviluppo di fibrosi e alterazioni della funzionalità del cuore. È la prima volta che viene dimostrata una correlazione fra la presenza di micro e nanoplastiche e un maggior rischio cardiovascolare.

Le micro e nanoplastiche rinvenute nelle arterie erano a base di polietilene (PE, rilevato nel 58.4% dei casi) o polivinilcloruro (o PVC, individuato nel 12.5% dei casi), due dei composti plastici di maggior consumo nel mondo, utilizzati per realizzare prodotti che vanno dai contenitori ai rivestimenti, dalle pellicole plastificate a materiali per l’edilizia.

Il PE è una delle plastiche più utilizzate al mondo, tanto da costituire il 40% del volume totale della produzione mondiale di materie plastiche; leggero e resistente a urti e corrosione, è usato ampiamente per realizzare contenitori, oggetti, rivestimenti. Il PVC è altrettanto diffuso ed è una delle materie plastiche più versatili, perché può essere modellato e stampato a caldo, ma anche sciolto per spalmare tessuti e superfici; si trova in innumerevoli prodotti, dai rivestimenti alle pellicole, dai tubi fino ai dischi in vinile. Entrambi possono dare origine a microscopiche particelle plastiche che si riversano nell’ambiente e possono poi essere assorbite. Sono soprattutto le nanoplastiche a penetrare in profondità nei tessuti.

Quante nanoplastiche vengono ingerite

Secondo il rapporto Future Brief sulle nanoplastiche della Commissione Europea, in media un adulto inala o ingerisce dalle 39.000 alle 52.000 particelle plastiche all’anno, pari a 5 grammi di plastica alla settimana, l’equivalente di una carta di credito. «In tutto il mondo, la produzione annuale è cresciuta da meno di 2 milioni di tonnellate nel 1950 a circa 400 milioni di tonnellate a oggi – si legge nel report -. Si prevede che questa produzione raddoppierà entro il 2040 e triplicherà entro il 2060».

Nell’editoriale del The New England Journal of Medicine si sottolinea che siamo di fronte a una «scoperta rivoluzionaria che solleva una serie di domande urgenti: l’esposizione a microplastiche e nanoplastiche può essere considerato un nuovo fattore di rischio cardiovascolare? Quali organi oltre al cuore possono essere a rischio? Come possiamo ridurre l’esposizione?», scrive l’epidemiologo Philip J. Landrigan, fondatore e direttore del Global Public Health Program del Boston College e del Global Pollution Observatory all’interno dello Schiller Institute for Integrated Science and Society.

Poi spiega che «il primo passo è riconoscere che il basso costo e la convenienza della plastica sono ingannevoli e che, di fatto, nascondono grandi danni, come il contributo della plastica agli esiti associati alla placca aterosclerotica. Dobbiamo incoraggiare i nostri pazienti a ridurre l’uso della plastica, in particolare degli articoli monouso non necessari, e sostenere il Trattato Globale sulla Plastica delle Nazioni Unite per rendere obbligatorio un tetto globale alla produzione di plastica. Come per i cambiamenti climatici anche la risoluzione dei problemi associati alla plastica richiederà una transizione su larga scala dal carbonio fossile».

Lo studio olandese sull’accumulo di microplastiche

C’è anche uno studio dell’Università olandese di Wageningen che ha misurato la quantità di particelle di microplastiche rilevate in pesci, molluschi, crostacei, acqua corrente potabile oppure in bottiglia, birra, sale e aria per valutare quanta plastica effettivamente si ingerisce ogni giorno e quale sia il contributo dei vari cibi e bevande. È stato rilevato che una persona di età inferiore a 18 anni assume in media 553 particelle di microplastiche al giorno, corrispondente a 184 nanogrammi, mentre un adulto ne ingerisce 883, corrispondenti a 583 nanogrammi.

Questi valori si riferiscono all’assunzione di microplastiche, e sono quindi diversi dall’accumulo, perché una porzione viene espulsa attraverso le feci. Ne consegue che all’età di 18 anni una persona ha accumulato 6,4 nanogrammi di microplastiche, a 70 anni l’accumulo sarà pari a 40,7 nanogrammi. (0,0000004 gr). Secondo questo studio le microplastiche ingerite sarebbero in larghissima misura espulse dal nostro organismo in modo fisiologico e la quantità accumulata nel corso della vita risulta del tutto trascurabile.

marzo 2024


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