Senza gli immigrati potremmo dire addio alla filiera agroalimentare

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Foto: Antonio Calanni

Senza il lavoro migrante potremmo dire addio alla filiera agroalimentare made in Italy. Qualcuno potrebbe storcere il naso, ma uno dei settori che contribuisce in maniera importante alla crescita del Pil e che nel 2023 ha superato i 600 miliardi di fatturato e i 64 miliardi di export, non può fare a meno degli immigrati.

L’inverno demografico nel quale si è incamminata l’Italia non solo è complice di un progressivo innalzamento dell’età media della popolazione, ma colpisce anche la manodopera legata a determinati settori del mondo lavorativo. Per lo più quelli particolarmente usuranti.

Il lavoro nei campi è uno di quelli. Al netto dello sfruttamento e del caporalato che hanno inghiottito nei loro oscuri sistemi un numero incredibile di giovani immigrati, sfruttati e sottopagati, c’è un sistema cooperazione che affianca un impegno lavorativo stabile e legale ad un modello di integrazione.

A raccontarlo è il volume “Made in Immigritaly. Terre, colture, culture“, un rapporto sui lavoratori immigrati nell’agroalimentare italiano commissionato dalla FAI-CISL, la cui ricerca è stata realizzata dal Centro Studi Confronti ed è curata da Maurizio Ambrosini, Rando Devole, Paolo Naso e Claudio Paravati.

Dai dati raccolti emerge una verità inequivocabile: gli immigrati che lavorano regolarmente sul suolo italiano sono stimati in 2,4 milioni circa, più del 10% degli occupati. In agricoltura, però, il loro contributo è nettamente più rilevante: gli stranieri occupati nel settore sono quasi 362.000 alla fine del 2022 e coprono il 31,7% delle giornate di lavoro registrate. Quindi viene prodotto da mani straniere nei campi e nelle stalle quasi un terzo di tutto il made in Italy.

La Coldiretti, nel rapporto di fine anno, aggiunge un dato ancora più rilevante. Con un “balzo del 28% è in agricoltura che si è verificato il tasso più elevato di crescita della presenza di stranieri alla guida delle imprese negli ultimi cinque anni”.

E ancora “sono 20175 le imprese agricole condotte da stranieri in Italia. L’agricoltura italiana è dunque sempre più multietnica con la presenza anche di molti immigrati che dopo un’esperienza in qualità di lavoratore dipendente sono riusciti a diventare imprenditori di se stessi e a raggiungere una vera integrazione sociale ed economica. Una presenza qualificante per il settore grazie all’esperienze di altre culture ma anche di nuove tecniche produttive e tipi di coltivazioni”.

Uno spaccato della società moderna, che racconta quanto il futuro economico e sociale sia nell’integrazione.


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