Di Gianni Festa
No, non si può. Anzi non si deve. Il Sud compatto s’indigna. Se si dovesse eliminare il provvedimento che prevede la decontribuzione per i dipendenti delle aziende localizzate nel Mezzogiorno, si darebbe uno schiaffo pesante a questa parte del Paese. La misura scadrà nel prossimo mese di giugno e il Governo, che in un primo tempo non ne aveva prorogato l’efficienza, ora sembra fare marcia indietro. Dovrebbe essere il ministro Raffaele Fitto a rinegoziare il provvedimento in sede di Commissione europea. In che cosa consiste la decontribuzione? E’ presto detto. La misura fu introdotta con la legge di Bilancio del 2021 dal Governo presieduto da Giuseppe Conte. Lo scopo era quello di contenere gli effetti del Covid sull’occupazione attraverso un esonero contributivo del 30 per cento per i datori di lavoro privati in riferimento ai rapporti con i dipendenti la cui sede sia situata nelle regioni del Sud. La misura, cofinanziata da risorse nazionali ed europee, “necessita di periodiche autorizzazioni della Commissione europea, configurando un aiuto di Stato”. E’ accaduto però che il Governo non ha richiesto la proroga facendo intendere che l’incentivo potesse essere cancellato. Di qui la forte e determinata protesta delle opposizioni contro l’Esecutivo che viene accusato di essere antimeridionalista. Ovviamente al momento non si può dire che il pericolo è scampato, anche perché nei confronti del Mezzogiorno non sono poche le latitanze del Governo Meloni. Non si dimentichi, ad esempio, che per l’attuazione della Zes si registrano notevoli ritardi e una “espropriazione territoriale” del provvedimento, con l’istituzione di una cabina di regia centralizzata a Palazzo Chigi a cui dovranno fare riferimento le regioni meridionali. Non solo. Tutto tace sul piano degli investimenti pubblici, fatta eccezione per il Ponte sullo Stretto, che viaggia tra non poche difficoltà progettuali. E ancora. Le difficoltà che derivano dal pieno impiego dei fondi europei, Pnrr compreso, legate anche alla scarsità del personale dei tecnici negli uffici comunali e alla stessa qualità dei progetti messi in campo. Inoltre, come ciliegina sulla torta, c’è l’autonomia differenziata regionale che condanna il Sud, anche a causa della spesa storica, a fare la parte del fanalino di coda. A tutto questo si aggiunge la polemica politica, alla vigilia di un turno elettorale per l’Europa, che colloca i problemi e la loro complessità sul terreno dello scontro. I partiti sono ben lontani da una leale collaborazione utile a fare uscire il Sud dalla crisi che attraversa da sempre. La decontribuzione, se non si dovesse correre ai ripari, rappresenterebbe un’ulteriore profonda ferita nel corpo già fragile di un Mezzogiorno in agonia. Spetta al ministro Fitto di rinegoziare, al più presto, con Bruxelles il provvedimento, per fare in modo che al danno non si aggiunga le beffa. Va ricordato, in conclusione, che fino a quando la decontribuzione ha svolto il proprio ruolo gli effetti positivi si sono fatti sentire, garantendo una maggiore equità territoriale, occupazione e sviluppo delle imprenditorialità. Certo, il lavoro per il Sud è ancora tanto. Ed è compito anzitutto della classe dirigente meridionale, oltre steccati e bandiere diverse, far sentire la propria voce per scongiurare ipotesi di ulteriore emarginazione di un territorio che invoca giustizia sociale e trasparenza amministrativa.