Obesità come malattia, l’Italia verso la prima legge al mondo

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Da qualche anno, l’Italia ambisce a varare la prima legge al mondo che riconosca l’obesità come una malattia, in modo da inserirla nei Livelli essenziali di assistenza (Lea), ovvero fra le prestazioni che il Servizio sanitario nazionale si impegna a garantire gratuitamente o dietro il pagamento di un ticket a tutti i cittadini, indipendentemente dal reddito e dal luogo di residenza.

296144Dopo qualche intoppo burocratico, pare che il semaforo verde stia finalmente per scattare: la proposta di legge firmata dall’onorevole Roberto Pella (Forza Italia) approderà il prossimo luglio alla Camera per la votazione in aula. Ne abbiamo parlato con Iris Zani, presidente dell’Associazione Amici Obesi.

L’iter della legge è stato fermo a lungo, per colpa di procedure burocratiche complicate. Quando è stato avviato?

«Il 28 dicembre 2022 l’onorevole Pella aveva presentato il disegno di legge “Disposizioni per la prevenzione e la cura dell’obesità”, che era nato da alcune riflessioni. L’obesità rappresenta un problema rilevante di salute pubblica e di spesa per i servizi sanitari nazionali. Spesa che diverrà insostenibile se non verranno adottate politiche di prevenzione adeguate, nonché programmi di gestione della malattia in grado di affrontare il peso delle co-morbilità, come il diabete mellito di tipo 2, l’ipertensione, la dislipidemia, le malattie cardio e cerebrovascolari, i tumori, le disabilità, le malattie neurodegenerative, le patologie respiratorie e quelle articolari.

Purtroppo, però, l’iter legislativo si era arenato perché sullo stesso argomento erano stati presentati altri due disegni di legge, a opera dell’onorevole Andrea Quartini (Movimento 5 Stelle) e del senatore Ignazio Zullo (Fratelli d’Italia), che si sono sovrapposti al primo».


Cosa è successo negli ultimi giorni?

«Alcune richieste dell’onorevole Quartini e altre del senatore Zullo sono state incorporate nel disegno di legge a firma dell’onorevole Roberto Pella, portando alla stesura di un unico documento che a fine luglio verrà discusso in Parlamento. Il fatto che questo lavoro derivi dall’unità di intenti di tre diversi partiti politici ci fa ben sperare su un’approvazione agevole e priva di ulteriori intoppi».

Una volta che l’obesità sarà riconosciuta come malattia, che cosa succederà?

«Il mondo medico la definisce da tempo una patologia cronica, progressiva e recidivante, dove i soggetti che ne sono affetti assistono nel corso degli anni a un progressivo aumento della massa grassa, a un progressivo aggravamento delle complicanze cliniche e alla comparsa di crescenti disabilità. Se tutto questo venisse riconosciuto anche a livello legislativo, l’obesità potrebbe entrare nei Lea: ciò significa che verrebbero costruiti dei percorsi di cura specifici, messi a disposizione di tutta la popolazione che ne soffre».

Al momento, questo non succede?

«No. Se pensiamo alla chirurgia bariatrica, questa è mutuabile solo per i pazienti dai 18 ai 65 anni con obesità di terzo grado, cioè con un indice di massa corporea superiore a 40, oppure con obesità di secondo grado, cioè con un indice di massa corporea maggiore di 35 ma affetti da una o più patologie legate al peso, come diabete o sindrome delle apnee ostruttive nel sonno. Grazie al disegno di legge, invece, tutte le persone in sovrappeso o con obesità potranno beneficiare del pieno accesso alle cure e ai trattamenti nutrizionali, farmaceutici e chirurgici».


Sarà un aiuto dal punto di vista economico?

«Certo, enorme. Oggi molte persone con obesità non intraprendono un percorso di cura proprio per i costi elevati, interamente a loro carico. E chi invece decide di intraprenderlo è in balia di un mercato perlopiù privato, dove può accadere facilmente di incappare in proposte “farlocche”, prive di validità scientifica, inutili o addirittura pericolose per la salute. Oggi tutti prescrivono diete: farmacisti, personal trainer, naturopati, estetisti. Con una legge sul tema, invece, verrebbero realizzate delle reti regionali per l’assistenza alle persone con obesità, a cui si potrà fare riferimento con fiducia, nella certezza di poter accedere alle migliori cure, tra l’altro in convenzione con il Servizio sanitario nazionale».
 

Nel testo di legge si parla anche di iniziative di prevenzione, informazione e sensibilizzazione rivolte alla popolazione generale. Questo aiuterà a ridurre i fenomeni di discriminazione e lo stigma a cui questa malattia si accompagna spesso?

«È il nostro auspicio. Speriamo che questa ufficialità aiuti finalmente la collettività a capire che l’obesità non è frutto di pigrizia, golosità, scarsa cura di sé o incapacità di controllarsi a tavola. I cosiddetti “chili di troppo” derivano da una pluralità di fattori, genetica compresa. Gli studiosi hanno ampiamente dimostrato che una persona normopeso e una persona con obesità provano sensazioni completamente diverse davanti allo stesso piatto di spaghetti: ci sono “pezzetti di DNA” che determinano un differente desiderio di cibo, difficilmente controllabile.

Ovvio, questo non significa che le persone devono deresponsabilizzarsi: avere un corretto stile di vita è fondamentale per restare in salute, ma oggi esistono trattamenti farmacologici e chirurgici che possono coadiuvare dieta e attività motoria, qualora non siano sufficienti per perdere peso».
 

Tra l’altro, a breve, arriveranno nuovi farmaci per il contrasto all’obesità. Si parla di una vera e propria rivoluzione, che affiancherà in maniera sempre più decisa l’approccio nutrizionale, comportamentale e la chirurgia bariatrica.

«Esatto. Si tratta sia di farmaci già approvati per il trattamento dell’obesità dalle agenzie regolatorie e che saranno presto disponibili, sia di molecole ancora oggetto di studio ma che negli studi di fase 3 hanno mostrato risultati particolarmente incoraggianti. Oltre a rallentare lo svuotamento gastrico, questi nuovi trattamenti aumentano il senso di sazietà e riducono l’appetito agendo sui centri di regolazione della fame nel sistema nervoso centrale. In più, stando agli esperti, permetteranno di ottenere percentuali di calo ponderale anche del 20-25%, che fino a poco tempo fa si pensava fossero raggiungibili solo per mezzo della chirurgia bariatrica».
 

Un’ultima considerazione: all’opposto del body shaming, cioè dell’assurda pratica di offendere qualcuno per il suo aspetto fisico, si sta diffondendo la cosiddetta body positivity. Le modelle “curvy” o star come BigMama enfatizzano l’accettazione di sé. Anche questi possono essere messaggi fuorvianti?

«Sì, fuorviante è qualunque estremismo. Se l’accettazione sociale è importante, questo non significa che bisogna restare immobili di fronte all’obesità. Accettarsi non deve equivalere al “non fare nulla” per cambiare la propria situazione, perché l’obesità non è solamente una questione estetica, ma anche e soprattutto la miccia per co-morbilità importanti. Bisogna trovare la giusta via di mezzo e non sentirsi mai soli. La nostra associazione può aiutare in questo percorso di accettazione, comprensione e richiesta di aiuto, perché l’obesità è una malattia da cui si può guarire».


giugno 2024

 

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