La politica guardi al futuro

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Con un’espressione un po’ dura l’ex ministro del governo Renzi, Carlo Calenda sostiene che al leader di Italia Viva non è riuscito il sogno di fare l’Emmanuel Macron italiano, di creare cioè un movimento liberale di massa. Renzi oggi conta per il suo potere di interdizione e non per i consensi. Un novello Ghino di Tacco come Scalfari ribattezzò Bettino Craxi che governava all’epoca con la Democrazia Cristiana imponendo la sua indispensabilità per formare una maggioranza. Renzi è stato ed è decisivo per il secondo esecutivo di Giuseppe Conte ma in una maggioranza senza una vera identità non è riuscito ad imporre un’agenda innovativa. I sondaggi sono impietosi. Il partito di Renzi e quello di Calenda, Azione, hanno numeri bassi e così lo stesso Calenda dice che più che un testa a testa e un coda a coda. Ironie a parte è la traiettoria dei movimenti centristi che non riesce ad andare oltre un tiepido presente. Ezio Mauro ha spiegato che non può rinascere un’eredità democristiana di un grande centro perché questo richiede una cultura moderata capace di creare una politica al contrario oggi c’è la fine di ogni eredità del passato, si usa il futuro come espediente e il presente come unico orizzonte. Un esempio di presentismo è la legge elettorale che non viene discussa per costruire una riforma di lungo respiro ma pensata solo per l’immediato. Proprio Matteo Renzi nel gennaio del 2014 quando guidava il PD e il governo sosteneva che nella legge elettorale bisognava inserire la soglia di sbarramento per evitare il ricatto dei partitini. Oggi è tra i più tenaci oppositori del nuovo meccanismo elettorale che punta ad introdurre la soglia del 5 per cento per l’ingresso in Parlamento. Solletica per queste ragioni il malessere degli elettori e ritiene che il Parlamento dovrebbe occuparsi di cantieri e non di collegi, la priorità deve essere la crescita e l’emergenza economica e non la legge elettorale e se proprio deve farsi, è meglio la legge dei sindaci così la sera delle elezioni si sa già chi ha vinto. Una posizione legittima ma che nasconde il timore che oggi sarebbe difficile per Italia Viva superare la soglia di sbarramento e dunque Renzi fa valere quel “ricatto dei partitini” che voleva superare quando guidava il PD. La parabola di Renzi che in poco tempo ha dilapidato un patrimonio elettorale assomiglia a quella dei Cinque Stelle che in due anni rischiano di dimezzare i consensi e se i sondaggi sono veritieri anche Matteo Salvini è in rapida discesa dopo i fasti delle ultime europee e di questo passo rischia di essere oscurato da Giorgia Meloni, stella nascente nello schieramento di centrodestra.  Lo scenario insomma si evolve in continuazione. Le leadership hanno sostituito i partiti e così anche il movimento più identitario come la Lega si sta perdendo nelle sue contraddizioni e nell’inseguire un sovranismo che l’emergenza sanitaria ha messo a nudo rivelandone limiti e ambiguità. In filigrana la questione vera da affrontare è quella della provvisorietà dei leader attuali e dell’assenza di una strategia politica. Come spiega il sociologo Mauro Magatti “bisogna allungare l’orizzonte temporale della nostra vita individuale e collettiva. Al fondo vi è il riconoscimento del legame che esiste tra le generazioni. Un tema particolarmente ostico in Italia dove l’accumulazione del debito pubblico, il blocco demografico, la fuga delle nuove generazioni sono aspetti di quell’unica sindrome di brevissimo periodo tra consumerismo, clientelismo e assistenzialismo che è stata la versione provinciale con cui l’Italia ha (per lo più) interpretato l’epoca storica alle nostre spalle”.  In una parola quello che manca è la politica capace di indicare un orizzonte.

di Andrea Covotta



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