«Su TikTok, racconto la mia vita con il cancro»

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Appena si è svegliata, ha subito messo un velo di rossetto per sentirsi più bella. Non ci sarebbe nulla di strano, se non fosse che quella non era una mattina come tutte le altre: Alessandra Lonati aveva appena subito un complesso intervento chirurgico di 16 ore per asportare un tumore al colon.

Vedendo le sue labbra colorate, il chirurgo che l’aveva operata ha scherzato: “Lei sembra uscita dal parrucchiere, non dalla sala operatoria”. Con quel piccolo gesto, Alessandra cercava semplicemente di aggrapparsi alla sua vita di prima, nonostante la malattia.

Di tutto questo e molto altro lei racconta ai suoi 10 mila follower su TikTok, dove è conosciuta con lo pseudonimo di Prof. Ale. Mediatrice famigliare e docente, Alessandra si è ritrovata a fare i conti con una malattia importante, che ha rimescolato le carte della sua esistenza e ha imposto nuove priorità.

Spesso la diagnosi di tumore arriva come un fulmine a ciel sereno, una sferzata di vento così forte da spazzare via tutta la vita di prima. È successo così anche per te?

«Sì, la notizia è arrivata davvero inaspettata. Cancro al colon al IV stadio, metastatico al fegato: mi sembrava impossibile. È successo due anni fa, il 24 giugno 2022: all’epoca avevo 49 anni e due bambine in piena adolescenza, di 13 e 18 anni. Tra l’altro, due mesi prima, avevo perso mio padre per un tumore all’esofago e avevo tutt’altro per la testa. Per di più, prima della malattia, forse non mi amavo abbastanza: tutto veniva prima di me, mi trascuravo, non ascoltavo il mio corpo. Da qualche tempo ero sempre stanca, ma accusavo la mia vita frenetica, e avvertivo spesso gonfiore e dolore addominale, a cui non davo peso».

Come lo hai scoperto?

«Tempo prima, il medico di base mi aveva prescritto delle analisi del sangue di routine, ma il foglio era sempre rimasto nel cassetto. Ho aspettato che finisse la scuola, rispettando i miei impegni da docente, e poi ho deciso di sottopormi a quel check-up a lungo rimandato. Dopo appena due ore dal prelievo, sono stata contattata dal centro analisi, che mi ha invitata a recarmi immediatamente al pronto soccorso perché il valore della mia emoglobina risultava 6 g/dl. Teniamo conto che il gradino successivo, cioè 5 g/dl, è incompatibile con la vita. Da quel momento, è partito un lungo iter di test ed esami, che hanno portato alla diagnosi finale. Ricordo ancora che il medico si è seduto prima di comunicarmela e ho subito capito che doveva dirmi qualcosa di grave».

Purtroppo, è andata davvero così.

«Sì. La prima domanda che gli ho fatto è stata: “Quanto mi resta da vivere?”. Lui mi ha risposto: “Si deve affidare alla ricerca”. L’ho fatto e, all’improvviso, sono stata travolta dagli eventi: mi hanno operata d’urgenza al colon e al fegato, ma dopo appena un mese dall’intervento si è ripresentata una recidiva al fegato. È seguita la chemioterapia, prima di un nuovo intervento. Dopo quattro mesi, altra recidiva al fegato: di nuovo chemioterapia e terzo intervento, che risale al dicembre 2023. Oggi sono consapevole di non poter guarire, ma spero di poter cronicizzare la mia malattia, che al momento è ferma. Finalmente mi sono goduta l’estate, perché negli ultimi due anni ero sempre malata o in terapia, e ho imparato a vivere nel “qui e ora”, senza aspettarmi nulla, ma senza neppure arrendermi. Faccio controlli ogni tre mesi e li affronto con consapevolezza».

Della malattia hai parlato liberamente con le tue figlie?

«Sì, ho voluto coinvolgerle e non nascondere nulla, anche perché sarebbe stato impossibile. Non è stato facile, visto che avevano perso il nonno da soli due mesi, ma ho scelto la verità. Lo hanno apprezzato e mi sono state vicine. I bambini e i ragazzi hanno una loro “piccola cassetta degli attrezzi” per gestire le difficoltà, non dobbiamo mai sottovalutarlo».

Che solitudine si prova dopo una diagnosi come la tua?

«È una sensazione difficile da spiegare a parole. Solo chi sta vivendo la tua stessa situazione può capire quello che stai provando e ti comprende pienamente. Dopo la diagnosi, cambia tutto: cambiano le priorità, cambiano i legami famigliari, cambia la visione che hai del quotidiano. Oggi, per me, fare colazione con un raggio di sole è un regalo. Per gli altri, invece, è una cosa scontata. È paradossale da ammettere, ma una malattia ti insegna a vivere come dovresti fare, ti insegna a diventare la persona che potresti essere, ti insegna a guardare quello che dovresti vedere. Ecco perché il vero sostegno è arrivato da altri pazienti, che capivano ciò che stavo provando».

È per questo motivo che hai deciso di creare un gruppo di ascolto?

«Esatto. Avevo capito quanta solitudine c’è dietro una malattia e, per questo, ho creato uno sportello di Mediazione Familiare Oncologica, riservato ai malati oncologici che si trovano ad affrontare situazioni conflittuali all’interno del proprio nucleo famigliare, e poi un Gruppo D’Ascolto, gratuito e online. All’interno, io e miei compagni di viaggio condividiamo tanta vita: non si parla soltanto della malattia, ma c’è anche la progettualità, la voglia di guardare avanti. Il Gruppo è aperto a tutti e ci si può iscrivere sulla mia pagina Tik Tok oppure inviando un mail a [email protected]».

Forse, tornare a fare progetti è la parte più difficile di fronte a una malattia come il cancro.

«Di solito si vive una prima fase di negazione, dove ti sembra impossibile che quella “sentenza” coinvolga proprio te. Addirittura, dopo la diagnosi, mi è capitato di sognare per una settimana consecutiva di essere malata: al mattino mi svegliavo e, ogni volta, pensavo di aver avuto solamente un incubo. Invece era tutto vero. La prima volta che sono entrata nel reparto di oncologia, mi sono guardata intorno e mi sono chiesta: “Ma io cosa ci faccio qui?”. Poi, poco per volta, ti abitui all’idea e torni anche a guardare al futuro».

Come sei arrivata su TikTok?

«È stata una mia amica a suggerirmelo. “Perché non condividi la tua storia?”, mi ha detto. Ero un po’ titubante e mi vergognavo all’idea di diventare “social”. Non lo consideravo nelle mie corde, ma ho pensato che fosse importante contribuire a diffondere una cultura diversa della malattia, che non deve per forza corrispondere a “cancro = morte”. Di cancro si muore, ma si vive anche. La cosa ha iniziato a prendere piede e oggi ho 10 mila followers, principalmente malati o caregiver, perché il cancro è una malattia che coinvolge tutta la famiglia. Oltre a condividere il mio percorso, cerco di fornire informazioni e consigli utili su come affrontare le piccole o grandi difficoltà quotidiane e di creare un ponte fra i malati o con qualche medico particolarmente utile».

Cosa ti chiedono più spesso le persone che ti scrivono?

«Spesso hanno solamente bisogno di una parola di conforto per accogliere la paura che segue la diagnosi o quella che precede le terapie oppure i responsi delle Tac di controllo. Altre volte, invece, mi chiedono informazioni pratiche oppure condividono le loro difficoltà nelle relazioni affettive, perché non è così raro che i partner si allontanino».

Cosa non dovrebbe mai fare un paziente?

«Continuare a rincorrere il vecchio “sé”. Spesso ci si guarda allo specchio e si pensa alla propria vita precedente alla malattia, rimpiangendo la persona “prima del cancro”. È la cosa peggiore che si possa fare. Al contrario, bisogna accogliere la propria trasformazione, non giudicarla e imparare ad amarci per quello che siamo nel presente».

E tu cosa hai scoperto della nuova te?

«Ho capito di essere più forte di quanto pensassi. Prima, ad esempio, non credevo che si potesse mentalmente gestire il dolore e invece ho scoperto di essere capace a governarlo con il giusto spirito. E poi la “nuova me” sa finalmente pensare a se stessa, ascoltarsi, trovare quel tempo che prima mancava sempre, mettere le esigenze del corpo prima della volontà. Amo la donna che sono diventata e il cancro, assurdo da dire, mi ha insegnato a esserlo con grande gratitudine e amore verso la vita».

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