Obesità, le ultime scoperte per combatterla

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Se le diete cominciano sempre domani, oggi si potrebbe dire “adesso o mai più”. O meglio, ora è davvero il momento giusto, la congiuntura più favorevole per dare una svolta a quella che gli esperti ormai chiamano la vera pandemia del millennio, quella dell’obesità.

Mai come oggi gli scienziati di tutto il mondo, ma anche i legislatori e le istituzioni, hanno concentrato la loro attenzione e gli sforzi sul pericolo per la salute che rappresentano il sovrappeso, la pancia e i troppi chili che pesano sulla bilancia di molti, a tutte le età. Un pericolo molto sottovalutato, spesso derubricato come estetico. Le novità sono tante, e vengono da Venezia, dove si è tenuto l’ultimo Congresso Europeo sull’obesità con partecipanti da tutto il mondo, che hanno fatto il punto sui numeri dilaganti del problema. Non da ultimo, la grande aspettativa sui nuovi farmaci anti-fame.

«In Italia, secondo gli ultimi dati Istat, sono circa 23 milioni le persone in sovrappeso, e 6 in obesità conclamata (solo in Lombardia 2,6 milioni), mentre il 27,2% dei ragazzi che va dai 3 ai 17 anni è già in eccesso di peso: capite bene perché parlare di pandemia non è eccessivo, e l’Italia è in prima fila su questo fronte», commenta la professoressa Simona Bertoli, responsabile del Centro Ambulatoriale Obesità IRCCS Istituto Auxologico Italiano di Milano, un polo di riferimento che redige il Rapporto sull’obesità in Italia.

Tanto è “solo” sovrappeso

Il dilagare della malattia parte da un preconcetto: ciò che chiamiamo sovrappeso spesso è già obesità, cioè vera malattia per i medici. «Noi italiani mangiamo troppo e male, ci muoviamo poco e passiamo da diete stringenti a periodi di eccessi. Ma ciò che spiana la strada all’aumento di peso cronico è un fattore psicologico e concettuale: sta nel pensiero radicato che suona come “quei chili in più non sono niente e li perdo quando voglio, è solo questione di volontà”; siamo davvero molto indulgenti con l’eccesso di grasso», commenta la professoressa Bertoli.

«Non a caso in Italia una persona che vuole perdere peso fa almeno sette tentativi fai da te (fonte Ipsos) cercando su internet o chiedendo soluzioni provate dai conoscenti, senza avere la percezione del problema, che spesso è, appunto, già patologia, non sovrappeso.

L’obesità è infatti una malattia cronica risultante dalla complessa interazione tra ambiente, stile di vita, e alterazioni metaboliche geneticamente determinate e solo parzialmente controllabili dalla volontà. Ecco perché nei Centri di riferimento, gli IRCCS che si occupano di questa patologia, non possono mancare figure come lo psicologo, lo psichiatra, il fisioterapista, il kinesiologo e il fisiatra. Le ultime evidenze scientifiche inducono poi a non parlare più neanche di “obesità” ma di adiposopatia, cioè di una condizione cronica causata da una patologia del tessuto adiposo e dell’adiposità caratterizzata da alterazioni anatomiche, strutturali, e funzionali che contribuiscono allo sviluppo del diabete, dell’ipertensione, della dislipidemia, fino alle patologie epatiche».

Dunque quella che molti di noi liquidano come pancetta è per gli addetti ai lavori il grasso viscerale, un super-organo che produce ormoni cattivi (anche oncogeni) e contribuisce a una sorta di perenne stato di infiammazione generale dell’organismo. «Sovrappeso e obesità rappresentano oggi il quinto più importante fattore di rischio per mortalità globale (almeno 2.8 milioni all’anno di decessi nel mondo) e si calcola che un paziente con obesità grave riduca la propria aspettativa di vita di circa 10 anni e ne trascorra 20 in condizioni di disabilità», conclude Bertoli.

Il BMI non basta più

C’è un altro presupposto di base da rivedere per dimagrire, quello del BMI. L’indice di massa corporea è la formuletta che si ottiene dividendo il proprio peso in kg per il quadrato dell’altezza in metri. Se si colloca fra 25 e 29,9 si è in sovrappeso, se supera il 30 e fino al 34,9 è obesità di primo grado. Quella grave è maggiore di 40. Ma il sistema che si basa solo su questo dato per gli scienziati è oggi superato. Un nuovo schema per la diagnosi arriva dall’European Association for the Study of Obesity (EASO). Il solo BMI è insufficiente come criterio diagnostico, e l’accumulo di grasso addominale è un elemento più forte per lo sviluppo della malattia, anche in individui con un livello inferiore a 30.

«Il fatto che le persone fino a ieri considerate “solo” in sovrappeso siano oggi rivalutate sulla base dell’aumento del grasso viscerale e di qualche situazione a rischio correlata al peso (per esempio pressione e glicemia alte) allarga la possibilità di diagnosi precoce, di intervento ed evita di sottotrattare molti pazienti, uno dei problemi più diffusi», spiega la professoressa Bertoli.

I nuovi antifame

Al Congresso Europeo si è parlato tantissimo di farmaci, sia di quelli già utilizzati in passato per le persone con diabete e obesità, sia dei nuovi di recente uscita mirati alla perdita di peso. In prima linea la semaglutide, diventata famosa, a dire il vero con grande preoccupazione degli addetti ai lavori, per l’uso fattone come acceleratore della “dieta” da alcune celebrità.

Appartenente alla classe degli agonisti del recettore dell’ormone GLP-1, coinvolto nella regolazione dei livelli di zucchero nel sangue e nelle dinamiche dell’appetito, stimola la secrezione di insulina, inibisce quella del glucagone (ormone che controlla la glicemia) e rallenta lo svuotamento gastrico. Per farla semplice, toglie buona parte del senso di fame, dà la percezione di sazietà con porzioni più ridotte, aiutando a perdere fino al 15% del proprio peso corporeo (New England Journal of Medicine), nelle nuove formulazioni anche di più.

«Ma i farmaci non sono dei jolly piglia tutto, piuttosto sono degli strumenti sempre più efficaci nelle mani degli specialisti, che li devono saper usare e prescrivere a ragion veduta, dopo un’attenta diagnosi e anamnesi del paziente, valutando bene tempi, modi, tipi di molecole e i pro e contro, fra effetti benefici ottenibili ed effetti collaterali possibili, il tutto con controlli periodici regolari», commenta la nostra esperta. E di effetti collaterali se ne è parlato al Congresso: da quelli più diffusi, come la nausea e la stipsi all’inizio della terapia, fino al rischio di calcolosi e pancreatite.

Gli studi e i pareri sulla sicurezza di queste molecole (alcune testate a lungo su popolazioni fragili come quelle con diabete) sono stati spesso confortanti e a volte sorprendenti (vedi box sullo studio Select), ma è emersa ancora una volta l’obbligatorietà di affidarsi sempre a specialisti medici esperti e a Centri di eccellenza.

«Non si può pensare di seguire una cura per l’obesità senza sottoporsi a una dieta studiata su misura, senza ricominciare a fare la giusta e graduale attività fisica, senza il supporto di controlli ed esami periodici, compresi i colloqui con lo psicologo o qualunque figura sia necessaria in questo processo di rivoluzione del proprio stile di vita», sottolinea Bertoli. «Per questo è importante rivolgersi a un Centro di riferimento che faccia anche ricerca su questi temi. L’obesità è una malattia cronica che inizia spesso da una storia di lungo sovrappeso e di scelte fai da te sbagliate. Un circolo vizioso che si può interrompere, anzi ribaltare».

In arrivo la prima legge

Un’altra buona notizia è che, per una volta, i politici sembrano essere tutti d’accordo: questa malattia deve avere un riconoscimento ufficiale, con una legge ad hoc che inserisca i farmaci e le cure (compresa la fisioterapia) nei LEA, cioè nei Livelli di assistenza essenziale e quindi nel sistema dei ticket e rimborsi del Servizio Sanitario Nazionale. L’iter per l’approvazione è in dirittura d’arrivo in Parlamento, e si spera di avere presto la prima legge sull’argomento tutta italiana.

Un’iniziativa dai risvolti molto pratici per i pazienti (la rimborsabilità di tante spese) e in linea con l’importante Venice Declaration 2024, lanciata al Congresso Europeo per un cambiamento nel dibattito globale sull’obesità, quale malattia che richiede una gestione completa e a lungo termine. Un appello che ha chiesto un’altra cosa fondamentale: affrontare seriamente i pregiudizi e le discriminazioni legate al peso. Una volta per tutte.

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