così i giovani restituiranno speranza al pianeta. La resistenza è l’unica strada – Corriere dell’Irpinia

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“Non c’è niente in questo difficile momento storico che possa paragonarsi ai fermenti che abbiamo vissuto negli anni novanta con i centri sociali autogestiti e le proteste no global ma sono sicuro che da un momento all’altro, improvvisamente succederà qualcosa di buono, che tornerà  a farci sperare. Il sistema è al collasso e tanti sono ormai stanchi di sopportare le ingiustizie della società”. Lo sottolinea Luca Persico, per tutti ‘O Zulù, storico leader dei 99 Posse, nel presentare la sua autobiografia “Vocazione rivoluzionaria” presso la sede di Avionica, “L’unica strada è la resistenza – spiega intervistato dalla giornalista Maria Fioretti – Abbiamo accumulato tante sconfitte, e anch’io ne sono stanco, ma chi è riuscito a mantenere la capacità di lottare, chi è rimasto coerente con la propria vocazione rivoluzionaria, continua a vivere meglio, senza dimenticare che alcuni cambiamenti ce li siamo portati a casa. Penso alla libertà di riunirci e di parlare di ciò che vogliamo. Del resto, molti di noi pensavano che non sarebbero arrivati a 50 anni, che sarebbero morti prima di overdose ed è già un traguardo esserci arrivati. Certo, quelli che erano i centri sociali di ieri appaiono come rifugi ma le rivoluzioni partono proprio dai rifugi.  E poi questo mondo s’adda salvà. Starà alle nuove generazioni trasformarlo”. Spiega di aver scommesso da tempo sul suo essere “antisociale”, “su tutto ciò che gli altri disprezzavano,  come quando ho scelto di essere “O Zulù. Mi chiamavano così quando mi vedevano salire sul pullman da Giugliano per Napoli. Ma ho capito, poi, che non potevo essere quello che gli altri volevano che fossi”. Ericorda come a salvarci “è sempre il senso di appartenenza, il riconoscersi in persone che credono negli stessi ideali, il sognare insieme. Quando quello che hai intorno ti esclude cerchi da un’altra parte. E’ stato bellissimo arrivare dal paese al liceo in città e scoprire che c’erano persone che la pensavano come me”.

Confessa come “Dopo il contratto con la multinazionale sono cominciati i primi malumori nei 99 Posse. Volevamo essere la voce degli ultimi ma eravamo in fondo dei privilegiati. Ci siano sciolti poco dopo nel momento di maggiore successo del gruppo. Ho capito che volevo essere un militante come tanti e ho cominciato a viaggiare, a partecipare a manifestazioni in Iraq, in Palestina, alla marcia zapatista. A un certo punto ho dovuto liberarmi dell’immagine che mi ero creato, pensavano che assomigliassi a Marx o Che Guevara ma ero più John Belushi. Sono sprofondato negli inferi delle dipendenze e non l’ho mai nascosto, Poi, ho capito che dovevo riappropriarmi di O Zulù perchè mi avrebbe consentito di restutuire visibilità a questa o quell’altra causa. Allora fatto pace con me stesso”. Racconta come “O Zulù è nato un giorno di Carnevale. Mi sono vestito da punk con una cintura con le borchie e una cresta per andare una festa e ho sentito sul pullman il disprezzo di tutti. Non pensavano fosse un travestimento ma ho sentito che quel disprezzo mi inebriava. Ho capito che quello che per gli altri era un’offesa per me diventava un complimento”. Tanti gli aneddotti che consegna Persico, come il giornale scolastico con titolo filosovietico “Scrissi un articolo in cui criticavo le fan di Duran Duran. Il risultato fu che tutte le ragazze del liceo mi evitarono accuratamente”. Dalla folgorazione nell’ascoltare Bloody Sunday a Dublino da un gruppo che non sapevo fossero gli U2 fino alla musica che diventava strumento per rendere il contenuto di volantini e assemblee più accessibili a tutti”. E spiega come “Amavo di Autonomia Operaia l’idea di contropotere che rappresentava una risposta immediata a una richiesta delle fasce più deboli, un intervenire qui e subito.

Spiega come “Ho cominciato a scrivere questa autobiografia perché sto vivendo un momento di svolta nella mia vita, in cui cerco territori nuovi. La canzone non mi dà più le emozioni che mi ha dato fino ad ora. Ho bisogno di esprimere  il mondo complesso che ho dentro, di qui la ricerca di spazi diversi dalla rima baciata. Grandissimo il potere curativo dello scrivere, che si tratti di questa biografia o del rileggere le mie parole in un reading che porto in giro, accompagnato da una violinista. Sono alla ricerca di una collocazione in un territorio oscuro tra la scrittura e la performance teatrale”. Non ha dubbi O Zulù “La mia vita è stato un continuo costruire cose che poi ho distrutto, chi ha questa vocazione rivoluzionaria non riesce ad accontentarsi dell’esistente, deve sempre andare oltre. Al progetto teatrale si affiancano i concerti per i trent’anni dei 99 Posse, abbiamo più richieste di quelle che riusciamo a esaudire in una stagione. Tanti i progetti sia come 99 Posti che come solisti”

“Spiega come questo è il nostro modo di sopravvivere, assumere tutti i veleni. sia come persone comuni che come artisti, alla ricerca dei dolori del mondo. Si tratta quindi di tirarli fuori, Parlare di musica di protesta mi sta stretto ma è l’unico modo in cui io riesco a concepire la musica, pur ammettendo cje la musica anche tanto altro. Per me è sempre stato questo,  la cura di s+ e il tentativo di curare anche qualcun altro, aiutare l’umanità nella ricerca della causa di questi mali”. Spiega come questa esigenza non la cercano più nella musica perché oggi ci sono sicuramente tanti canali espressivi che all’epoca non c’erano. Oggi ci sono molte più possibilità di amplificare la propria voce, senza la mediazione del cantante. Ecco perchè nella musica cerco altro,. Il nostro percorso è comunque una reazione ad una condizione di invisibilità, che poi diventa consapevolezza di essere marginalità. E di questa consapevolezza ne fa un punto di Forza. Non è così diverso da quello che fanno oggi questi giovani, oggi additati come una delle cause della deriva di oggi, come Baby Gang e il primo Sfera. Sono una favola sono una favola a lieto fine. Sono comunque ragazzi che si sono tirati fuori da un destino segnato con la musica”



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