23 Novembre ‘80, il prima e il dopo. E oggi? – Corriere dell’Irpinia

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Io c’ero. Tra i giornalisti inviati da Roberto Ciuni, direttore de IL MATTINO, che volle presidiare con tanti colleghi il territorio ferito. C’ero nel gruppo di “Fate presto” che narrava giorno per giorno il ritmo di una immane tragedia. E a quanti pensano, tra le liturgie di occasione, che forse è superfluo ricordare quel tempo delle lacrime, della rabbia e della speranza, oggi dico che nessuno mai deve poter dimenticare quel 23 novembre del 1980, quando la terra tremò riscrivendo la storia dell’Irpinia. Già, perché c’è un prima e un dopo di quella tragedia che fece scoprire un territorio “grande quanto il Belgio”, come disse l’indimenticabile Giuseppe Zamberletti, inviato dal governo per coordinare le operazioni di soccorso. Fu così incisivo il suo lavoro che ebbe mano libera per far nascere la Protezione civile in Italia.

Prima del 23 Novembre 1980

L’Irpinia era sostanzialmente una provincia povera, immersa in quella civiltà contadina che veniva descritta come se fosse un peccato originale. Solo dopo si capirà che quel peccato era una virtù che aveva in sé la custodia dei valori su cui si fonda la convivenza civile in una lotta tra il bene e il male, e che porta al bene comune. L’Irpinia scopriva allora quei mostri delle pale eoliche che furono la più grande speculazione, sotto forma di benessere energetico, che consentì di dare mance ai proprietari terrieri. E forse proprio da qui parte la violenza sull’ambiente. La rottura di un diverso disegno che avrebbe potuto portare sviluppo a quel territorio che invece rischiò di diventare una immensa discarica di rifiuti, come avvenne in occasione della tentata occupazione del Formicoso. Nasceva allora, in un ristorante di Bisaccia gestito dal padre del poeta Franco Arminio, l’idea di collegare le zone interne con le grandi direttrici di sviluppo. C’erano intorno ad un tavolo traballante Ciriaco De Mita, Salverino De Vito ed io che avevo prestato loro una matita per disegnare il percorso della Lioni-Grottaminarda. Che delusione, nel pensare che oggi quella strada a distanza di quasi mezzo secolo rimane un sogno tradito. In questa Irpinia degli invalidi civili, dei disoccupati in numero elevatissimo, nella quale le fabbriche maggiori erano rappresentate dal Consorzio dell’Alto Calore, dall’ospedale civile e da qualche accenno di industria, in questa Irpinia arriva il terremoto. Ho ripreso nel mio archivio le collezioni dei giornali di quel tempo e ho ritrovato tante storie da me vissute. Come la “Favola di Diego”, articolo che fece il giro del mondo commovendo l’umanità intera. Diego, sette anni, era rimasto sotto le macerie per giorni. La mamma gli teneva compagnia tra quei tetti che si erano polverizzati. Passarono cinque giorni e Diego fu tirato fuori. Lanciò un sorriso alla madre. Poi chiuse gli occhi e per sempre. Tante storie e, soprattutto tante immagini che non dimenticherò mai. Come quando sollevai il problema che mancavano le bare, ricavandone un forte rimprovero da un politico importante. Intanto la neve cadeva, imbiancando i corpi a centinaia, avvolti in lenzuola forse sottratte ai corredi. Tante vite spezzate, finite senza nome in una lunga fossa comune.

Dopo Il 23 Novembre

Onore ai morti a coloro che alimentarono il grande esercito dei volontari, a coloro che da ogni parte del mondo e dell’Italia amarono la nostra realtà, fieri e orgogliosi della solidarietà messa in campo. Non troverete il mio nome tra i tanti untori, la narrazione di alcuni fatta solo per sentito dire o su documenti ingialliti, che hanno descritto il terremoto d’Irpinia, decantandone il grande successo. Dirò, a mio modo, e per grandissima sintesi, che la ricostruzione in Irpinia è stata per la maggior parrte completata. E’ vero, sono stati realizzati progetti faraonici, o servizi che prima non esistevano. Tutto bene e giusto. Ma oltre quaranta anni dopo, lo sviluppo è stato negato, le aree industriali vivono in grande sofferenza, una parte dei fondi stanziati sono finiti negli studi tecnici per progettisti legati alla politica dominante. Quella stessa che ha consentito alla città di Napoli di sottrarci i fondi per impiegarli in quella realtà. E’ vero, c’è l’Ofantina, chiamata la strada della morte per la sua pericolosità, e c’erano le case ricostruite, villette invidiabili con piscine e campi da tennis, che oggi si vendono al prezzo simbolico di un euro perchè i figli di coloro che hanno sudato sangue per costruire un luogo sicuro le hanno messe in vendita, andati via per trovare un impiego. Si è persa la grande occasione per creare lavoro, se è vero, come è vero, che lo spopolamento delle zone interne diventa giorno dopo giorno inesorabile. Tutto nero? No. C’è la speranza che un giorno la Lioni -Grottaminarda sarà realtà, che il polo logistico dell’area ufitana si metterà in moto con l’Alta velocità. Che la depurazione trovi una risposta immediata, così come la crisi idrica ricaverà una boccata di ossigeno con le nuove reti. Così il terremoto è stato tradito da una classe dirigente, oggi inesistente rispetto a quella di ieri, inconcludente e predatoria. Direte che sono irriducibile nell’analisi. Sarà pure, ma ciò che ho scritto è frutto del sentimento di chi ha vissuto prima e dopo una delle più amare tragedie in questo nostro Paese.



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