Al Laceno d’oro la magia dei cortometraggi, un viaggio tra passato e futuro. La sfida di coniugare brevità ed efficacia narrativa

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di Carla Perugini

Nel mare magnum della programmazione cinematografica del 49° Laceno d’Oro, Festival Internazionale del Cinema, ho assistito, giovedì 5 dicembre, a una selezione di cortometraggi, quattro per la precisione, molto diversi fra loro per ispirazione, mezzi espressivi e risultati artistici.

Così come, messo di fronte all’opzione fra racconto e romanzo, lo scrittore deve scegliere fra lunghezza e brevità, analisi e sintesi, digressioni ed essenzialità, ugualmente, nella realizzazione di un corto, regista e coautori sanno di dover ottenere il massimo dell’efficacia con il minimo del cronotopos narrativo. Spazio, tempi, informazioni, dialoghi: tutto deve riempire quei pochi minuti di filmato con un’efficacia che lasci allo spettatore la sensazione di aver assistito a un’opera compiuta in sé stessa, che, alle domande esplicite o sottintese della sceneggiatura, dia delle risposte incisive e persuasive. È questo che è avvenuto nei quattro corti visti nella piccola sala del Partenio, affollata da ragazzi non sempre corretti nel comportamento e nel rispetto degli altri spettatori? Proviamo ad esaminarli uno per uno.

“Caino”, di Angelo Giordano, si serve di mezzi tecnologici eterogenei: da girati familiari ritrovati in una vecchia cinepresa ad effetti dovuti all’intelligenza artificiale. Commossa rievocazione dei giochi con il fratellino scomparso, in cui, quasi crudele premonizione, si uccide e si muore, il cortometraggio convince, nonostante l’approssimatività dei mezzi, per l’autenticità dei sentimenti dell’Autore.

“A Supernova Boy”, di Jessica Anna Festa, è forse il film che più mostra la difficoltà di coniugare brevità e significato, impegno degli intenti e sentenziosità dei risultati. Se lodevole è la volontà di dirigersi agli adolescenti perché superino i clichés e le cattiverie nelle relazioni reciproche e rispetto agli adulti, la storia delle difficoltà di rapporti fra un ragazzo problematico con i coetanei e con suo padre risente di un’eccessiva intenzione didascalica, di un copione dall’evoluzione scontata e della modesta recitazione degli attori.

Più interessante il corto “Spleen”, di Angelo Giordano e Giacinto Tecce, sia pure con ispirazioni troppo alte (Baudelaire) per dei giovanissimi, le cui immagini in bianco e nero cercano di supplire (non sempre riuscendovi) alla mancanza di sonoro, fra echi alla Murnau ed effetti e ambientazioni goticheggianti.

Decisamente di più alto livello l’ultimo cortometraggio in programma, “La doppia vita di Kore”, di Maria Antonietta Mariani, su cui però è mancata qualsiasi informazione o presenza nel dibattito seguito alle proiezioni. Kore, detta anche Persefone, era la dea degli inferi, costretta dal rapimento da parte di Ade a trascorrere sei mesi all’anno nel mondo delle tenebre e sei sulla terra. Le autrici, non irpine, di cui la regista ci mostra le opere e il pensiero con scorci originali e montaggio brillante, paiono appunto oscillare fra ispirazioni dettate dalla vita e altre dettate dalla morte, che si traducono in opere artistiche del tutto personali e immaginifiche.

Spettatrice attenta ma lontana da benevolenze obbligatorie o pregiudizi critici, ho dato conto solo di una minima porzione di proiezioni, in una rassegna ricchissima di nomi e titoli, che proseguirà fino all’otto dicembre, fra Cinema Partenio ed Eliseo.



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