“Separazione delle carriere, una battaglia di democrazia contro la storia degli orrori giudiziari” – Corriere dell’Irpinia

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I magistrati protestano si mobilitano, intanto la Camera approva la riforma della giustizia proposta dal ministro Carlo Nordio. Per Giuseppe Gargani, storico alfiere Dc, ex sottosegretario alla Giustizia durante la stagione del Pentapartito, è «una vittoria della democrazia».

«Abbiamo sperato non invano nel nostro ministro», commenta. «Lo abbiamo spronato, sapendo che non ci avrebbe deluso. Ho ricordato a Nordio che da anni auspicavamo una riforma che rendesse il processo giudiziario meno caotico ed equivoco. È stata una battaglia di libertà».

Soddisfatto?

«Non avrei mai immaginato che la riforma della giustizia sarebbe stata realizzata da un governo di destra come quello attuale. Sono d’accordo sulla sostanza della riforma, ma non sul metodo che ha utilizzato il governo».

In che senso?

«Sembra che la separazione delle carriere venga fatta passare come una punizione nei confronti dei pm».

E invece?

«La riforma serve a rendere il processo meno caotico ed equivoco. Il sistema accusatorio è in crisi, in Italia come in America o in Inghilterra».

Perché, lei dice, il processo accusatorio è «caotico ed equivoco»?

«Lo diceva il giudice Falcone: il mestiere del magistrato è diverso da quello del pubblico ministero. Le parti del processo dovrebbero avere parità di ruolo e di importanza, e il giudice dovrebbe essere al di sopra delle parti. Ma non è così: il pubblico ministero è in modo devastante una parte prorompente del processo».

E troppo spesso i pm hanno facilmente la meglio?

«Nel contraddittorio tra chi accusa e chi difende, come in tutte le vicende della vita, è necessario un arbitro vero, ovvero imparziale. È questo che ha sempre sostenuto il grande giurista Vassalli parlando di “giusto processo”. Invece, anche a causa delle modifiche alla procedura penale che ci sono state negli ultimi trent’anni, il processo è ibrido e avventuroso. Non c’è un vero dibattimento tra parti uguali, ma una prevalenza del pubblico ministero, che viene messo sullo stesso piano del giudice. Ma il pubblico ministero è solo una parte, come la difesa, e non può avere le guarentigie di un giudice. Non a caso, il 74% dei processi si conclude con l’assoluzione degli indagati, un verdetto che arriva troppo tardi, con conseguenze devastanti per i malcapitati. Inoltre, è inaccettabile che ciò che emerge durante le indagini finisca sui giornali, determinando a carico dell’accusato in attesa di giudizio un pregiudizio insanabile nell’opinione pubblica».

La colpa è dei pubblici ministeri o del procedimento penale?

«Il ruolo del pubblico ministero in una società complessa come la nostra dovrebbe essere diverso rispetto al passato. Il processo giudiziario, come diceva Carnelutti, deve essere espressione della società».

Lei dice che un processo equo è una «battaglia di libertà»: quanto potere politico hanno oggi i giudici, o meglio i pm?

«Se il processo non è equo e imparziale si crea un vulnus democratico. Contro questa deriva mi sono battuto per anni. Il cittadino deve poter credere nella giustizia. Questa riforma è necessaria per la democrazia».

Quale ruolo politico ha avuto la magistratura nella vicenda Mani Pulite?

«Durante gli anni di Mani Pulite la magistratura ha assunto un ruolo politico anomalo, non in linea con la Costituzione, configurando una “Repubblica giudiziaria” che ha messo in discussione l’autonomia della Repubblica parlamentare e la separazione dei poteri. La maggior parte delle persone coinvolte in Tangentopoli sono state assolte perché il fatto non sussiste. L’inchiesta Mani Pulite e le sue conseguenze avrebbero dovuto portare a una riforma della giustizia già molto tempo fa. Con Tangentopoli è stato indagato il “sistema”, non i singoli fatti o gli imputati. Questa è una patologia che dovremmo riconoscere. Ci sono stati processi che non avrebbero mai dovuto iniziare. Ferrajoli scrive che il processo penale può diventare “storia di errori” e il diritto penale “storia di orrori”».

Dunque nessuna riserva sulla riforma della giustizia?

«La seconda parte della riforma è aberrante. I componenti di un organo costituzionale come il Csm non possono essere scelti tramite sorteggio: non è utile e non risolve il problema delle correnti. Soprattutto non è democratico. C’è bisogno della partecipazione dei magistrati».

Il sorteggio non elimina le correnti?

«Perché dovrebbe? Il 95% dei magistrati sono iscritti a una corrente. Le correnti, di per sé, non sono un male, proprio come i partiti, a patto che abbiano un’ideologia e non si trasformino in caste, come purtroppo oggi spesso accade».



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