Il referendum sul lavoro divide non solo il Campo Largo e lo stesso Pd. Fu infatti Matteo Renzi, all’epoca premier, ad approvare il Jobs act, che potrebbe essere definitivamente archiviato se vincesse il sì.
Due i quesiti che riguardano la riforma del lavoro voluta da Renzi. Uno è per l’abrogazione delle norme che impediscono il reintegro al lavoro in caso di licenziamenti illegittimi: «Volete voi l’abrogazione del d.lgs. 4 marzo 2015, n. 23, recante “Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183” nella sua interezza?».
Il secondo quesito sul Jobs act ha come oggetto l’abrogazione delle norme che hanno liberalizzato l’utilizzo del lavoro a termine: «Volete voi l’abrogazione dell’articolo 19 del d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81 recante “Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183”, comma 1, limitatamente alle parole “non superiore a dodici mesi. Il contratto può avere una durata superiore, ma comunque”, alle parole “in presenza di almeno una delle seguenti condizioni”, alle parole “in assenza delle previsioni di cui alla lettera a), nei contratti collettivi applicati in azienda, e comunque entro il 31 dicembre 2024, per esigenze di natura tecnica, organizzativa e produttiva individuate dalle parti;” e alle parole “b bis)”; comma 1 -bis , limitatamente alle parole “di durata superiore a dodici mesi” e alle parole “dalla data di superamento del termine di dodici mesi”; comma 4, limitatamente alle parole “,in caso di rinnovo,” e alle parole “solo quando il termine complessivo eccede i dodici mesi”; articolo 21, comma 01, limitatamente alle parole “liberamente nei primi dodici mesi e, successivamente,”?».
Gli ex renziani rimasti nel Pd non ci stanno. Sarà bene “discutere” la linea del Pd contro il Jobs act, tanti nel partito hanno vissuto quella stagione e ci vuole “rispetto reciproco”, avverte Simona Malpezzi. “Il Jobs act è solo dei tanti interventi avvenuti negli ultimi 15 anni, è un provvedimento complesso, che aveva dentro contenuti molto importanti”, sottolinea in una intervista a La Stampa. Malpezzi lo dice chiaramente: “Non parteciperò al voto. Schlein dice che lei ha una storia e io la rispetto molto”.
E ancora: “Il referendum sul Jobs Act? Non l’ho firmato e non intendo fare campagna. Sono passati dieci anni, la corte Costituzionale ha smontato quasi integralmente il Jobs Act, quindi non capisco di cosa stiamo parlando”. Così a Rai Radio1, ospite di Un Giorno da Pecora, la deputata e responsabile Giustizia Pd Debora Serracchiani: “Detto questo, ci sono sensibilità diverse dentro al Pd, se alcuni sosterranno questa iniziativa non dobbiamo farci la guerra ma ragionare sul fatto che ci sono sensibilità diverse”.
Sulla questione interviene Tommaso Nannicini, sottosegretario nel governo Renzi e ‘padre’ del Jobs Act: “Il Pd sostiene la battaglia della Cgil per opportunismo. Per scaricare le colpe collettive degli errori del Pd negli ultimi decenni solo sulla stagione di Renzi”, afferma in un’intervista al QN. L’ex sottosegretario boccia la linea dei dem sul referendum: “Qualcuno dice che quella posizione segnala uno scivolamento a sinistra, un cedimento al massimalismo. A me sembra solo trasformismo”.
Nannicini si chiede che credibilità può avere un partito che “demonizza una riforma che ha fatto poco tempo fa con un leader votato da otto militanti su dieci? Autorevoli dirigenti dell’attuale Pd guidato da Elly Schlein non solo hanno votato quella riforma, ma l’hanno elogiata in giro per le Feste dell’Unità”.
Il costituzionalista Stefano Ceccanti, vice-presidente dell’Associazione Libertà Eguale, che ha organizzato il convegno di Orvieto, sembra avere le idee chiare ed è perentorio: “I quesiti sul Jobs Act guardano solo al passato, e a mio parere sono da bocciare. Ora vedremo chi è interessato a guardare solo indietro. Di certo i quesiti sul Jobs act sono pensati per dividere la sinistra, più che per contrastare la destra”. E in effetti la sinistra è divisa.
Carlo Calenda, leader di Azione, che pure è contro il referendum, è ancora più pessimista di Ceccanti: il referendum “serve a rafforzare il governo, non a mettere in difficoltà il governo. E’ un errore clamoroso. Mentre il mondo va a pezzi, la sinistra farà il referendum sul Jobs Act”.
Schlein intanto tira dritto: “Io i quesiti li ho firmati. Senz’altro non faremo mancare il nostro contributo”. Bisogna capire se la segretaria anche questa volta sarà determinata nello spostare l’asse del partito a sinistra. Fino a questo momento, nonostante le resistenze interne, è andata bene: gli elettori hanno compreso. Ora, per Schlein e per la sinistra giocarsi tutto su un referendum sul lavoro potrebbe essere una causa giusta quanto rischiosa, coraggiosa e alla fine vincente.