“L’Ulivo l’ho voluto per una convinzione semplicissima: caduto il muro di Berlino, l’Italia era l’unica nazione ad avere un ‘muro’ che la divideva al suo interno. Su tanti problemi della vita quotidiana c’era più accordo con i socialisti e con i comunisti che con i conservatori. Bisognava fare in modo che tutti i riformisti stessero da una parte e tutti i conservatori dall’altra, e che si alternassero al potere”.
Così Romano Prodi in un’intervista a La Repubblica, che poi aggiunge: “I partiti non li ha uccisi l’Ulivo, erano già morti. Ci siamo detti: mettiamo insieme quelli che possono dar vita ad un governo di riforme con un programma condiviso. Nacquero 4mila comitati in pochi giorni, c’era un desiderio diffuso di far uscire il Paese dall’impasse. L’idea intellettuale coincideva con una spinta che arrivava dal Paese”.
Per l’ex presidente della Commissione europea e del Consiglio italiano “l’Ulivo certamente” non si potrebbe rifare: “Quel che si può fare è cercare quattro grandi problemi sui quali trovare una visione comune: sanità, casa, scuola, lavoro”. Mettendo d’accordo Pd, 5 stelle, Alleanza Verdi Sinistra, Più Europa, Azione, Italia Viva? “Sono i problemi del riformismo – risponde Prodi -, ma solo se si parte dai contenuti e non dalla leadership può nascere un’azione comune che sollevi entusiasmo”.
“La proposta di Franceschini” ammette Prodi “potrebbe essere l’ultima spiaggia alla vigilia del voto. Ma se partiamo dall’idea che non ci si può mettere d’accordo su un programma, mi pare difficile vincere le elezioni. Se vogliamo che gli astenuti vadano a votare bisogna discutere di cose che emozionino.
Sui centristi, Prodi dice: “Ho avuto il piacere di aver partecipato a un dibattito che non ho organizzato, ma non ho avuto nessun riscontro dopo quello che ho detto. Mi pare difficile che io possa manovrare qualcosa”.
“Il Pd di Schlein ha fatto ottimi progressi, ma non esiste in Europa nessun partito, neanche la grande Cdu-Csu, che possa farcela da solo. È la nuova democrazia che esige la coalizione. A questo punto accanto al Pd, che per le sue dimensioni ha la responsabilità maggiore, è bene che ci siano forze convergenti. Non devo essere certo io a organizzarle, ma è utile che si cominci a discuterne”.
“Il problema è vedere chi è in grado di federare. Quel ruolo si conquista, non è dato. La competizione è aperta per tutti, Schlein e altri. Io ho visto con favore l’inizio della discussione, ma non decido io come va avanti. Meloni può star tranquilla”.
Sulla proposta di Franceschini di correre divisi per colpire uniti interviene anche Matteo Orfini, deputato del Pd, che in un’intervista al Fatto quotidiano afferma: “Non è molto comprensibile dire ai cittadini che ognuno di noi va per sé, che ci devono votare, ma non sappiamo che dobbiamo fare e il giorno dopo il voto, facciamo l’accordo con Forza Italia. Io un comizio così non lo saprei fare. Inoltre, sono stato tra i più critici negli anni rispetto al rapporto strutturale con i 5S: ma nel momento in cui Conte, pagandolo con la rottura con Grillo, ha scelto di collocare il M5S nel progressismo, che senso ha rinunciare a lavorare per una coalizione comune? Con Franceschini su una cosa sono d’accordo: servirebbe il proporzionale. Ma non mi sembra che il centrodestra sia davvero disponibile a un confronto”.