così il paese scoprì il volto del Sud – Corriere dell’Irpinia

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Sceglie una prospettiva inedita per raccontare un momento cruciale della storia del Mezzogiorno Francesco Barra. Punto di partenza il punto di vista di due personaggi minori, Nicola Nisco, patriota in prima linea nella rivoluzione del ’48 e poi uomo del partito cavouriano e Mauro Musci, bibliotecario del re, schierato in difesa della causa borbonica. Nasce così “Francesco II e la fine del Regno delle due Sicilie”, Terebinto, presentato questo pomeriggio all’Archivio di Stato di Avellino, nel corso di un confronto moderato da Gianluca Amatucci, nell’ambito della rassegna “I giovedì della lettura”. Barra, introdotto dal direttore dell’Archivio di Stato Lorenzo Terzi, spiega come “Questo libro sia nato per caso dalla scoperta di un manoscritto anonimo che raccontava la Storia dell’ultimo re delle due Sicilie. Un’opera inedita, mai pubblicata perché giudicata poco più di un testo apologetico della dinastia borbonica. Mentre è un’opera di notevole interesse, certamente di parte, di stampo polemico, nella quale l’autore sostiene le sue argomentazioni con una ricca base documentaria, replicando a Nicola Nisco, se è vero che aveva libero accesso all’archivio dei Borbone. Ci troviamo di fronte ad un autore che conosce i fatti ma non si espone mai, fino a diventare dopo il 1870 l’emissario ufficioso di Francesco II”.

Barra sottolinea come il volume di Musci consegni anche uno spaccato delle condizioni del Regno: “Ferdinando II aveva ereditato dal padre una situazione finanziaria disastrosa, che era riuscito a risanare investendo nel debito pubblico napoletano ma commettendo l’errore di non portare i propri capitali all’estero, Il risultato sarà il sequestro del capitale privato della casa reale borbonica, al momento della caduta del Regno”

Un personaggio, quello del bibliotecario borbonico, che si contrappone a Nicola Nisco, tra i protagonisti della caduta della monarchia “emblema dei valori dell’Italia liberale ma anche di un vero conflitto di interessi, di quella commistione tra politica e affari che caratterizzerà il processo di unificazione. In quanto martire della patria, sarà premiato, all’indomani dell’unificazione, con l’assegnazione di terreni demaniali, cercando di sfruttare per il proprio tornaconto personale i meriti acquisiti, tanto da essere emarginato dalla stessa destra. Solo successivamente indosserà i panni dello storico, narrando la sua versione del processo di unificazione, sulla base di ricordi personali e testimonianze dirette in un’opera certamente inferiore a quella di Raffaele De Cesare. Non ci sono dubbi che siano, in fondo, due storie di fallimenti”.

E’ Carmine Pinto, docente di storia contemporanea all’Università di Salerno, a porre l’accento  sulla centralità del Risorgimento nella storia del paese, “un momento capace di segnare lo sviluppo dell’intera nazione che vede scontrarsi due diverse visioni della nazione. Due sono le questioni al centro della lotta politica, dalla trasformazione della monarchia per diritto divino in una monarchia legittimata dalla sovranità popolare alla legittimità da dare allo Stato. Le antiche identità statali si confrontano con un nazionalismo romantico, con un’idea di nazione più ampia ricollegabile a una tradizione  ben precisa. Nel Sud appare chiaro che la questione napoletana e siciliana non si possa che risolvere nella questione italiana, nè si giunge a qualche compromesso tra potere assoluto e potere liberale. Quelli che racconta Barra sono due personaggi minori, non certo due intellettuali, che si misurano con un re minore, senza capacità di governo, maltrattato dalla famiglia, dalla regina madre e dal fratellastro, oscurato dalla moglie che poi lo abbandonerà. Nei mesi in cui tenta di resistere, è accompagnato nel suo esilio da una corte di ciarlatani che cercavano di vendergli di tutto. Tra loro c’è anche Musci che resta fedele al re, lo segue  a Palazzo Farnese, dove riveste il ruolo di bibliotecario, pur non avendo la caratura culturale di personaggi come Pietro Ulloa e Sisto Sforza che pure sostengono la resistenza legittimista. Consegna la sua versione della storia di un mondo che non doveva finire, a cui cerca di restituire dignità, che cerca di difendere a spada tratta.  Con una giustificazione della politica di Ferdinando II, basata su interpretazioni articolate di passaggi cruciali, come lo scontro tra i deputati e il re, il 15 maggio del  1848, finito sulle barricate cittadine. Musci era sprezzante verso il movimento liberale e la tradizione rivoluzionaria, le tre generazioni di delinquenti, le definì, era impietoso verso uomini come Giuseppe Pianelle e Liborio Rmano, che avevano scaricato Francesco II. Il testo di Musci ci consente di comprendere la guerra di idee a difesa del Regno ma anche la fragilità intellettuale del borbonismo politico, incapace di contrastare un movimento nazionale italiano che schierava i più grandi musicisti e intellettuali dell’epoca.  Nisco sarà, invece, schierato nel partito nazional-liberale italiano, coinvolto in prima persona nel processo unitario prima come attore politico, poi  nel tentativo d trarre vantaggi dal nuovo sistema di governo, infine desideroso di raccontare il suo punto di vista sulla storia, dopo essere finito fuori gioco in seguito alla sconfitta da parte dei rivali di Sinistra. La sua versione della storia sarà quella di un mondo destinato a finire per le colpe dei padri. Consegnano due versioni opposte di un momento che ha segnato la vita del Mezzogiorno e che cambia le loro stesse vite. Sono due osservatori militanti, condizionati da emozioni e interessi, che cercano di essere protagonisti e nel momento in cui non ci riescono si affidano alla parola scritta”. Pinto lo sottolinea con forza, il successo dell’unificazione nazionale è stato quello di aver portare i piccoli stati e dunque il Mezzogiorno nell’alveo del liberalismo occidentale.

E’ quindi Barra a soffermarsi su come l’unificazione abbia rappresentato il momento rivelatore di una realtà tragica, segnato dalla guerra del brigantaggio “E’ evidente che il crollo del Regno delle sue Sicilia sarà innanzitutto il frutto di un collasso interno con il fallimento sia della vecchia classe dirigente borbonica, che delle classe dirigente liberale che ha basi troppo ristrette ed è incapace di gestire il passaggio a un governo costituzionale. Francesco II farà due scelte che lo condanneranno, richiamando la costituzione del ’48 e rendendo dunque impossibile la difesa della monarchia borbonica e scegliendo di ritirarsi sul Volturno per portare avanti la Resistenza”. Pone l’accento sul dualismo tra Nord e Sud “Un dualismo di tipo sociale e antropologico con una società incapace di andare al di là degli interessi particolari. Il problema non è mai quello di avere risorse ma di una classe dirigente capace di gestirle”. E’ quindi Lorenzo Terzi a spiegare come la rassegna dei Giovedì della lettura nasce dalla volontà di aprire l’Archivio di Stato alla città, trasformandolo in un polo culturale senza perdere di vista la funzione primaria degli archivi e insieme la sfida di valorizzare il patrimonio documentario.



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